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Leon Battista Alberti e il certame coronario

Leon Battista Alberti e il volgare

La posizione teorica di Leon Battista Alberti, riguardo al volgare, è definita molto chiaramente da Cristoforo Landino, nel'Orazione pronunciata quando iniziò a leggere nello Studio fiorentino i sonetti di Francesco Petrarca.
"Ma uomo che più industria abbia messo in ampliar questa lingua che Batista Alberti certo credo che nessuno si trovi. Leggete, vi prego, i libri suoi e molti e di varie cose composti; attendete con quanta industria ogni eleganzia, composizione e degnità, che appresso ai latini si trova, si sia ingegnato a noi trasferire".
Nei trattati dell'Alberti il Landino, infatti, percepiva il tentativo di dare vita ad una nuova prosa volgare, in conformità con quel programma culturale di cui erano entrambi fervidi fautori. In effetti Leon Battista Alberti, pur scrivendo numerosi testi in latino e quindi riconoscendone il valore culturale e le pregevoli potenzialità espressive, fu sempre un deciso sostenitore della lingua volgare, che riteneva più rispondente alle esigenze della nuova società che stava nascendo.
Nell'intento di chiarire la posizione dell'Alberti quale difensore del volgare, rivestono un ruolo fondamentale i Libri della Famiglia, di cui i primi tre, scritti dal nostro negli anni '33-'34, rappresentarono fin dalla loro prima comparsa un tipo nuovo di prosa volgare, lontana dal modello trecentesco di matrice boccacciana. Il valore di tale iniziativa è ancora più grande, se si pensa che l'Alberti ideò e compose la prima stesura dell'opera a Roma, cioè al di fuori di quell'ambiente toscano che ancora manteneva vivo il culto della letteratura del Trecento. Nelle intenzioni dell'autore vi era l'elaborazione di una prosa tesa a stabilire un nuovo rapporto con i modelli latini, in rispondenza con quelli che erano i fini dell'umanesimo volgare: rapporto finalizzato ad un'emulazione, non passiva, ma in grado di ricreare le qualità stilistiche dell'originale. Muovendosi in campi in cui era più saldamente affermato l'uso del latino, come ad esempio nella redazione di trattati morali ed opere tecniche, l'Alberti precorse
l'affermazione dell'umanesimo volgare, che si sarebbe verificata nel secolo seguente. E' evidente che la soluzione da lui prospettata, cioè lo sforzo di conciliare gli elementi latineggianti con quelli di lingua parlata, era una scelta rivoluzionaria, che avrebbe agito da incentivo per l'introduzione del volgare in molteplici ambienti. Per tornare al ruolo svolto dai Libri della Famiglia nel contesto dell'opera volgare albertiana, è utile esaminare le dichiarazioni contenute nel proemio al terzo libro, dove l'Alberti si schierava apertamente a favore della nuova lingua, con la volontà di chiarire la questione della dignità letteraria che doveva assumere il volgare toscano. Quando il nostro scrisse il proemio al terzo libro, probabilmente nel 1436, doveva aver ben chiara in mente la recentissima disputa sull'origine dell'antica lingua di Roma, avvenuta l'anno precedente nella curia papale, a Firenze, e che aveva coinvolto Flavio Biondo e Leonardo Bruni, se tale proemio si apre con la seguente dichiarazione: "il possesso della lingua si pone sullo stesso piano del mantenimento del potere politico; entrambi decaddero con la fine dell'impero romano".
La tesi del Biondo, secondo la quale non esistevano nell'antica Roma due lingue distinte come voleva il Bruni (che individuava una lingua dei dotti e una degli ignoranti), ma il volgare discendeva da un latino modificatosi in seguito alle invasioni barbariche, veniva accettata dall'Alberti, perché era in sintonia
con il suo proposito di fare del volgare la lingua per eccellenza sia nella letteratura, sia nel parlato. Quindi, dopo aver smentito la tesi del bilinguismo, sostenuta dal Bruni, l'Alberti asserisce che nell'uso effettivo di una lingua è necessario che chi scrive si renda comprensibile da una larga maggioranza e pertanto polemizza con chi ha una concezione eccessivamente aristocratica della cultura e della lingua, isolandosi in un rigido ed esclusivo culto del latino classico. Il proemio al terzo libro della Famiglia è la chiara dimostrazione dell'intenzione di scrivere in una maniera accessibile ad ognuno, cercando prima di "giovare a molti che piacere a pochi". E non è da escludere che gli scambi di idee che egli intrecciò durante il soggiorno nella città dei suoi antenati avessero fatto maturare in lui la ferma rivendicazione della dignità del volgare toscano.
Ma poiché non gli pareva possibile rinunciare all'esigenza di una lingua ricca di vocaboli e di uno stile scorrevole ed espressivo, il nostro afferma che il volgare toscano avrà la stessa autorità del latino solo se i dotti decideranno di avvalersene, consentendogli di conquistare quella ricchezza lessicale e quel pregio di ornamenti che caratterizzarono il latino, ma a cui il latino non sarebbe mai giunto se gli antichi eruditi non avessero scritto nella lingua d'uso, cioè quella che anche il popolo comprendeva. Pertanto, come già era accaduto per le lingue classiche, per non incorrere in manchevolezze ed imperfezioni nello scrivere in volgare, occorreva individuare le sue regole naturali. Questo era il compito di cui l'Alberti si era assunto l'onere, scrivendo la Grammatica della lingua toscana, composta con tutta probabilità verso la fine degli anni Trenta, quando più alto era il suo impegno per il riconoscimento del volgare letterario.
Si trattava di un opuscolo chiaro e di semplice consultazione, che sotto questo punto di vista si accostava alle Regulae di Guarino Veronese, molto diffuse durante il Quattrocento. Era chiaramente un'opera di impronta umanistica, in quanto l'autore era riuscito a slegare la grammatica dalla dialettica, semplificandola, e nel contempo un trattato tecnico, come attestavano l'essenzialità dell'espressione e la frequenza delle definizioni, sull'esempio delle trattazioni grammaticali degli antichi. Insomma, in definitiva, Leon Battista Alberti ricercava una letteratura lontana sia dalla sciattezza, dalla mediocrità e dalla grossolanità di scrittori popolareggianti, intendendo il senso più negativo del termine, sia da una artificiosità intellettualistica ed esibizionistica.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Leon Battista Alberti e il certame coronario

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Informazioni tesi

  Autore: Antonella Lusetti
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2002-03
  Università: Università degli studi di Genova
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Lettere
  Relatore: Giangiacomo Amoretti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 42

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