Il ruolo della violenza nella costruzione di un modello giuridico di stadio calcistico. Dai casi europei alle prospettive italiane.
Le strategie europee nella lotta contro la violenza
Per quanto lo sport rimanga un tema di competenza dei Governi nazionali - con legislazioni penali differenti fra i diversi Stati membri - l'Unione Europea, dal canto suo, ha promosso iniziative per la prevenzione della violenza, con l'obiettivo di incrementare lo scambio di esperienze e il rafforzamento della cooperazione, in particolar modo attraverso il passaggio di informazioni sulle tifoserie.
Anche relativamente al tema della lotta contro la violenza può essere utile riassumere il percorso compiuto dalle Istituzioni europee. Il punto di partenza è segnato da un episodio drammatico: nel 1985, la strage dello stadio Heysel di Bruxelles è decisiva per una più stretta cooperazione in ambito europeo contro il fenomeno dell'hooliganism.
Tuttavia, mentre la reazione del Consiglio d’Europa è istantanea, quella della Comunità Europa – allora relativamente scevra di competenze - si fa attendere molto a lungo. Solo nel 1996 il Parlamento europeo adotta una relazione di iniziativa della deputata tedesca Claudia Roth sul fenomeno hooligan. Nel testo si chiede che gli atti di teppismo transfrontalieri e di violenza legata a eventi calcistici in genere, siano affrontati su scala europea. Nello stesso anno il Consiglio adotta una raccomandazione sugli orientamenti per prevenire e limitare i disordini in occasione delle partite di calcio.
La difficoltà iniziale di individuare strategie incisive sta nel fatto di non riuscire a concepire la violenza negli stadi come problema di pubblica sicurezza, ma nel farla derivare dal tema calcistico - cui è indubbiamente strettamente connessa – e quindi sportivo; in quegli anni, come visto, l’Unione Europea è ancora agli esordi della sua “battaglia” per ottenere competenze in materia di sport, capace quindi di incidere solo indirettamente sul contesto generale di tale ambito e ancor meno su un sotto-problema qual è, appunto, la violenza negli stadi. Per tali ragioni, l’azione europea si limita allo strumento del suggerimento, automaticamente ignorato tanto da Stati membri non particolarmente coinvolti da seri problemi di tifo violento, quanto disattesi da chi il problema già lo conosce, ma lo sottovaluta senza un corretto atteggiamento preventivo.
Tale situazione di empasse comincia ad essere superata quando muta l’approccio nei confronti del problema, che comincia a essere letto dal punto di vista della sicurezza generale, svincolata dallo sport.
Facendo riferimento all’ex art. 29 par. 3 del TUE, nel 1996 il Consiglio adotta una raccomandazione sugli orientamenti per prevenire e limitare i disordini in occasione delle partite di calcio e, l’anno successivo, adotta una risoluzione sulla prevenzione e repressione di atti di teppismo in occasione delle partite di calcio, mediante lo scambio di esperienze, il divieto di accedere agli stadi e una politica in materia di mezzi di comunicazione di massa. Questi primi atti, per quanto si limitino ad auspicare l’impegno degli Stati membri – non avendo forza vincolante per natura - segnano un punto importante dell’azione europea contro la violenza negli stadi.
Sono numerosi gli atti che, in seguito, perfezionano diversi aspetti della questione.
Nel 1999 il Consiglio adotta una risoluzione relativa a un manuale per la cooperazione internazionale di polizia e misure per prevenire e combattere la violenza e i disordini in occasione delle partite internazionali di calcio.
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Il ruolo della violenza nella costruzione di un modello giuridico di stadio calcistico. Dai casi europei alle prospettive italiane.
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Informazioni tesi
Autore: | Stefano Simonetta |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Torino |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Mariano Protto |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 210 |
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