Le SPAC: uno strumento finanziario a disposizione delle PMI italiane per affrontare la crisi da Covid-19
Le performance storiche delle SPAC
Rimanendo nell’ambito dell’esplosione del fenomeno SPAC, in questo paragrafo esamineremo in modo approfondito le performance effettive delle società target che hanno adottato tale metodo alternativo di quotazione sul mercato, per meglio comprendere se l’entusiasmo suscitato nei confronti degli investitori sia giustificato oppure no. Affinché l’analisi condotta possa risultare attendibile e non influenzata da giudizi personali, attingeremo a contributi letterari di diversi autori.
In primo luogo, prendiamo in esame il contributo di Jenkinson e Sousa (2009), i quali, nel paper “Why SPAC Investors Should Listen to the Market”, utilizzando un campione di 58 SPAC che hanno condotto un’IPO tra l’agosto 2003 e il giugno 2008 (di cui 43 hanno completato un’acquisizione e 15 sono state liquidate), pongono la loro attenzione sull'andamento del prezzo delle azioni delle SPAC che hanno completato la business combination.
I dati empirici evidenziano che, alla data dell'annuncio di acquisizione, in media, il prezzo dell'azione è 99,7% del valore stimato del trust, valore che sale al 107,3% del trust alla data della decisione: d’altra parte, è importante prendere atto che tutte le 15 SPAC liquidate avessero un prezzo delle azioni inferiore al valore del trust stimato, con un rapporto medio del 95,9% (percentuale che probabilmente ha spinto gli investitori ad optare per il rifiuto del deal), a fronte del 110,7% del valore del trust per le 43 SPAC che hanno concluso il deal con successo.
A seguito dell’acquisizione, le SPAC diventano società aventi degli asset e un’attività operativa, nonché un andamento azionario facilmente consultabile, un parametro fondamentale al fine di misurare l’effettivo successo delle operazioni portate a termine.
In questo senso, a fronte di un rendimento cumulato medio di circa -24% dopo 6 mesi e - 55% dopo un anno, il campione preso in esame viene suddiviso in due sottocampioni, le “Bad SPAC” (23) e le “Good SPAC” (20).
Nelle prime, gli investitori hanno deciso per l’approvazione dell’operazione quando il prezzo alla data della decisione o, alternativamente, l’ultimo prezzo di chiusura più prossimo alla data della decisione, era inferiore al valore del trust pro-quota: dunque, gli investitori hanno scommesso contro il mercato, il quale aveva valutato l'affare quale distruttore di valore.
Nelle “Good SPAC”, invece, gli investitori hanno concordato il deal quando il prezzo dell'azione alla data della decisione era superiore al valore del trust per azione. In un certo senso, si può dire che essi abbiano approvato un’operazione che teoricamente creerà valore, a condizione che i prezzi di mercato siano stati sufficientemente informativi.
Successivamente, Jenkinson e Sousa indagano alcune statistiche descrittive dei due gruppi di SPAC. In termini di capitali raccolti durante l'IPO, i due gruppi assumono dimensioni molto simili e detengono una percentuale di circa il 90% dei proventi dell'IPO nel trust. In aggiunta, i due autori che i promoter impieghino in media una quantità di tempo superiore per annunciare una proposta di deal nel caso di “Bad SPAC” (393 giorni contro i 331 giorni per le “Good SPAC”), anche se l'accordo viene poi approvato in meno tempo (246 giorni dopo l’annuncio, contro i 300 giorni delle “Good SPAC”).
Per quanto riguarda il prezzo dell'azione alla data dell'annuncio, per le “Good SPAC” esso rappresenta, in media, il 104,1% del valore del trust pro-quota, rispetto al 97,7% per le “Bad SPAC”. Tuttavia, come è ragionevole pensare, la differenza più marcata si manifesta alla data della decisione, una volta che gli investitori abbiano valutato attentamente l'operazione proposta: per le “Good SPAC” il prezzo delle azioni è stato, in media, il 130,6% del valore del trust, rispetto al 93,4% per le “Bad SPAC”.
Questi pattern di performance tra la data dell'annuncio e il giorno della decisione permangono anche nel caso di costruzione di portafogli contenenti SPAC buone e cattive, come si può osservare nella Figura 6.
Infatti, nel portafoglio di “Good SPAC” vi è una risposta positiva immediata del prezzo delle azioni intorno alla data di annuncio e il premio rispetto al valore del trust si muove costantemente verso l'alto, raggiungendo una media del 131% alla data della decisione. Per quanto riguarda il portafoglio di “Bad SPAC”, invece, il prezzo delle azioni rimane costantemente al di sotto del valore del trust, con un ragguardevole calo negli ultimi giorni prima della data di decisione.
Considerando infine i rendimenti grezzi di ciascun gruppo, emerge che le “Bad SPAC” si comportano male subito dopo la data della decisione e continuano ad avere una performance negativa durante i primi 6 mesi di negoziazione (Figura 7): in particolare, il
rendimento cumulativo grezzo medio si attesta al –39% dopo 26 settimane, al -79% dopo un anno. Al contrario, il rendimento grezzo delle “Good SPAC” rimane sostanzialmente piatto per le prime 26 settimane dopo la data della decisione, con un rendimento cumulativo medio del -6,2%.
“A Story on SPACs” degli autori Lakicevic e Vulanovic (2013) rappresenta un altro contributo fondamentale per esaminare in maniera puntuale l’andamento azionario nel corso del tempo, servendosi di un vasto set di dati empirici.
Analogamente a quanto fatto da Jenkinson e Sousa, i due autori analizzano le performance dei titoli della SPAC in diversi momenti, quali l’IPO, l’annuncio dell’acquisizione e l’acquisizione stessa. Il campione preso in esame è costituito da 161 SPAC che hanno condotto un’IPO sui mercati USA e che si presentano nella forma del prospetto finale.
Mediamente, si può osservare che, al momento dell’IPO, le SPAC emettano 14,85 milioni di unit ad un prezzo medio di 7,84 dollari. I proventi lordi medi prima della decisione degli underwriter di esercitare un'opzione di over-allotment è di 126,40 milioni di dollari, di cui 119 milioni di dollari viene depositato in un escrow account (ovvero il 95% dei proventi lordi, una percentuale in linea con il prospetto preliminare). Le commissioni incassate dagli underwriter ammontano al 7% dei proventi lordi, di cui il 3,94% viene versato al momento dell'IPO e il restante 3,06% viene differito in base al successo dell’operazione.
Dopodichè, i due autori presentano delle statistiche di sintesi, suddividendo il campione in due sottogruppi che “coprono” il periodo compreso tra gennaio 2003 e aprile 2006 e il periodo tra aprile 2006 e luglio 2009: una tale suddivisione è di fondamentale importanza in quanto ci consente di tracciare il percorso di evoluzione della struttura delle SPAC nel corso del tempo per quanto riguarda alcuni aspetti, come l’aumento delle dimensioni medie dell'IPO, la diminuzione delle azioni cui dà diritto la conversione di un warrant, l’incremento della remunerazione differita agli underwriter.
Dal confronto tra i due periodi, si osserva che i promoter hanno offerto in media il 106% in più di unit negli anni 2006-2009, con un prezzo superiore del 22% e un aumento del 147% dei proventi lordi dal primo al secondo periodo: ciò implica senza dubbio un interesse generale più forte da parte della comunità degli investitori nei confronti delle SPAC. Anche il rapporto dei proventi depositati sugli escrow account sul totale ha subito un discreto incremento, passando dal 91,20% del primo periodo al 98% del secondo periodo: si tratta di un aumento dovuto ad una maggiore percentuale di commissione differita dagli underwriter (0,03% dei proventi lordi del primo periodo contro 3,20% del secondo periodo), oltre che al fatto che i promoter della SPAC investano una quantità maggiore di fondi nelll’acquisto di warrant.
Inoltre, Lakicevic e Vulanovic trovano alcune importanti evidenze riferenti a ciò che accade nel giorno dell’IPO. Effettuando l’analisi su un campione di 107 SPAC di cui disponevano i dati, i due autori giungono al significativo risultato che la media complessiva dell’underpricing il primo giorno dell’offerta si attesta allo 0,0001%.
Invece, il volume medio di scambi è relativamente elevato ed è pari a 2,2 milioni di unit, valore che avvalora ulteriormente la tesi che gli investitori in SPAC non abbiano incentivi a discostarsi dal prezzo unitario di offerta il primo giorno di negoziazione.
Per quanto riguarda il momento dell’annuncio della business combination, Lakicevic e Vulanovic si propongono di indagare anche l’andamento di prezzo delle unit e dei warrant, oltre che delle azioni ordinarie: per queste ultime, si determina un abnormal return che si attesta attorno allo 0,85% il giorno dell’annuncio. Provando a calcolarlo su un periodo di 2 giorni (ovvero la data dell’annuncio e il giorno successivo), si determina un abnormal return positivo dell’1,2%, mentre prendendo in considerazione un periodo di sette giorni post-annuncio, esso viene praticamente azzerato (0,047%): ciò denota come le azioni ordinarie non mostrino performance anomale la settimana successiva all’annuncio di un’acquisizione, in quanto gli azionisti della SPAC non perseguirebbero alcun vantaggio a spingere in alto il prezzo alla data dell’annuncio; a prescindere che avvenga o meno l’acquisizione, infatti, essi avrebbero la possibilità di “riscattare” le azioni in loro possesso, proporzionalmente al valore degli interessi maturati sui fondi dell’escrow account.
Le unit, invece, dal momento che sono composte da azioni ordinarie e warrant esercitabili solo a seguito dell’approvazione dell’aggregazione aziendale, manifestano un comportamento molto interessante.
Il giorno dell'annuncio, i detentori di unit rilevano un abnormal return del 2,42%, che sale al 3,43% se si considera il periodo di 2 giorni dall’annuncio e schizza al 7,88% per l’arco di tempo comprendente i sette giorni successivi alla data dell’annuncio: tenuto conto di quanto detto riguardo le azioni ordinarie, si può facilmente discernere che l’abnormal return sia in gran parte determinato dalla performance dei warrant. Infatti, il giorno dell’annuncio, esso risulta essere del 10,49%, un valore che cresce di un ulteriore 4,20% il giorno successivo all’annuncio. Successivamente, la tendenza positiva si inverte e gli abnormal return assumono valori negativi (in particolare si rileva un rendimento cumulativo del 6,6% sette giorni di negoziazione dopo l'annuncio).
Nell’ambito dell’acquisizione, i detentori di azioni ordinarie conseguono un rendimento negativo del -3,81% il giorno del completamento della business combination e del -9,59% per i sette giorni successivi all'evento: tale valore risulta essere interessante, ma non inatteso, in quanto la data di fusione viene determinata anticipatamente al momento dell'approvazione della fusione da parte degli azionisti.
Infine, i due autori determinano il rendimento complessivo delle SPAC che hanno completato un’acquisizione. Ipotizzando un investitore che, mediante una strategia di investimento passiva (“buy and hold”), ha acquistato una unit alla data dell'IPO e l’ha detenuta fino all'ultima settimana di giugno 2009, il rendimento medio conseguito è del -28,69%.
La conclusione principale a cui Lakicevic e Vulanovic pervengono è che i diversi titoli SPAC non presentano reazioni simili in risposta agli annunci riguardanti il loro status aziendale. Infatti, anche se viene rilevato che i detentori di tutti e tre i titoli (azioni ordinarie, unit e warrant) realizzano abnormal return positivi il giorno dell'annuncio della business combination, la reazione statisticamente più marcata si osserva tra gli investitori in possesso dei warrant, mentre i titolari di azioni ordinarie (o unit, nel complesso) realizzano un rendimento modesto.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Le SPAC: uno strumento finanziario a disposizione delle PMI italiane per affrontare la crisi da Covid-19
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Informazioni tesi
Autore: | Alessio Locantro |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2021-22 |
Università: | Università degli Studi di Torino |
Facoltà: | Economia |
Corso: | Finanza |
Relatore: | Marina Damilano |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 168 |
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