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Responsabilità medica ex art.590-sexies c.p.

Le Linee Guida “accreditate” e le buone pratiche

Ulteriore problema riguardava infine l’identificazione delle linee guida e delle buone pratiche.
Quanto alle prime, oltre all’ovvia necessità che per la cura di una determinata patologia esistessero delle linee guida — considerando tuttavia che sarebbe stato comunque ipotizzabile l’applicazione della normativa di favore anche nel caso di protocolli o documenti similari —, queste dovevano avere uno scopo cautelare ed essere “accreditate” dalla comunità scientifica. Sicché, era pacificamente escluso che potessero venire in considerazione linee guida che non trovavano sufficiente consenso (perché isolate o perché erano state presentate obiezioni di metodo o relative alla loro validità), oppure che avessero finalità ulteriori o diverse da quelle dirette alla miglior cura del paziente (si pensi alle linee guida formulate dalle aziende ospedaliere per limitare i tempi delle degenze o i costi di gestione). Fisiologica conseguenza fu la previsione della giurisprudenza di legittimità, dell’onere di allegazione (quantomeno di indicazione in modo preciso al fine di consentirne l’acquisizione) a carico della parte che intendeva avvalersene. Tutto ciò, tenendo in considerazione che in Italia non esisteva un sistema di “accreditamento” delle linee guida. Dopotutto, il problema è stato risolto con l’introduzione del Sistema Nazionale Linee Guida (SNLG) gestito dall’Istituto Superiore di Sanità e con la successiva disciplina della Legge Gelli - Bianco, anche se a queste linee guida se ne aggiungevano altre formulate dalle Regioni, aziende ospedaliere e addirittura compagnie assicuratrici, formando intrecci difficilmente snodabili.
In realtà, il legislatore sembrava facesse piuttosto riferimento ad un concetto di tipo contenutistico più che formale. Sicuramente l’aspetto più complesso, in sostanza, era dato dal fatto che il giudice non disponesse di mezzi conoscitivi adatti a compiere una verifica simile. Per quanto concerne le buone pratiche, anche qui il legislatore utilizzava una definizione indeterminata ricollegandosi non a concetti generici, ma a condotte o situazioni da cui dipendeva la responsabilità penale dell’agente. A tal proposito, mi affido alla ricostruzione di Carlo Brusco che a sua volta fa riferimento ad un Autore che si è occupato di raccogliere svariate definizioni di buone pratiche. Viene quindi in evidenza che c’era chi riteneva fossero coincidenti ai protocolli, chi le equiparava alle leges artis in cui sono ricomprese anche le linee guida, chi ancora le riconduceva alla «pratica medica dotata di consenso ed approvata in pubblicazioni scientifiche di rilievo in grado di prevalere anche su raccomandazioni previste da linee guida non aggiornate», qualcuno invece le individuava in raccomandazioni differenti dalle linee guida ma comunque «formalizzate in atti ufficiali da serie ed autorevoli società scientifiche a seguito di procedimenti metodologicamente validi» e «idonei a generare un affidamento privilegiato riguardo alla loro validità tecnica e deontologica». L’ Autore Carlo Brusco, a tal proposito tirando le somme, ricava la sua definizione (a mio avviso valida) di buone pratiche che fa riferimento non ad una disciplina regolamentata — simile a quella delle linee guida e dei protocolli — ma alla concreta attuazione delle stesse linee guida o a procedure non previste da queste ultime ma comunemente applicate e di cui è riconosciuta l’efficacia terapeutica o la non dannosità per il paziente.

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Responsabilità medica ex art.590-sexies c.p.

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Informazioni tesi

  Autore: Maria Giannoccaro
  Tipo: Laurea magistrale a ciclo unico
  Anno: 2020-21
  Università: Università degli Studi di Bari
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Filippo Bottalico
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 158

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