Le emozioni e l'apprendimento on line: un contributo di ricerca
Le emozioni e le espressioni facciali
Tra le varie modalità di comunicazione non verbale dello stato emozionale - come il sistema vocale, i gesti e la postura - non si può trascurare lo sguardo e il volto, le regioni che più attirano l’attenzione dell’interlocutore: un sistema privilegiato di comunicazione e trasmissione di significati. L’obiettivo di Darwin (1872) era mettere in evidenza il termine “espressione”, indicando un’azione che accompagnava uno stato mentale, che comprendeva non solo le emozioni ma anche sensazioni, comportamenti e tratti di personalità. Le espressioni facciali considerate dentro “gruppi” diversi, e non come categorie fisse e immutabili, crearono due corsi diversi di studi: uno etologico (con lo studio del comportamento animale nel suo ambiente) e uno psicologico, con studiosi vicini alle teorie darwiniane che si distinsero in tre scuole di pensiero.
La prima scuola, teorizzata da Woodworth (1938), ipotizzava che le espressioni facciali comunicassero famiglie di emozioni, accomunate da basi di piacevolezza e spiacevolezza, attivazione autonoma e rilassamento, attenzione o rigetto.
La seconda scuola di pensiero sviluppata da Osgood (Osgood, 1966) diede rilievo all’esibizione dell’espressione facciale e alla risposta dell’osservatore, generalizzando il significato del volto a livello transculturale.
La terza scuola, rappresentata da Frijda (1986), propose un modello di percezione dell’emozione basato sull’elaborazione delle informazioni: valutare le espressioni significava descrivere non solo la singola emozione riconosciuta nel volto, ma anche immaginare gli stati interni della persona oltre a quelli provocati dall’osservatore stesso. Altri aspetti come i meccanismi di base di produzione delle emozioni favorirono la nascita di due ulteriori ipotesi: quella globale e quella dinamica. Secondo la prima, esposta da Fridlund (Ekman & Fridlund, 1987), le configurazioni del volto sarebbero unitarie, chiuse, universalmente condivise, fisse e specifiche per ogni emozione. Per la seconda (dinamica) esisterebbe un processo sequenziale e cumulativo in ogni espressione facciale, come risultato della progressiva accumulazione/integrazione di singole fasi. Per tale approccio, le espressioni facciali sarebbero configurazioni motorie momentanee, flessibili e variabili, in grado di adattarsi alle varie situazioni. Ulteriori indagini hanno riguardato la trasmissione di significato delle espressioni facciali distinta tra prospettiva emotiva e comunicativa. Per Ekman e Izard (approccio emotivo) le “microespressioni” – espressioni facciali involontarie della durata di 1/15 di secondo - avrebbero un valore emotivo in quanto risposte immediate e involontarie delle emozioni (Izard, 1991), come categorie discrete. Da ciò deriva l’invariabilità culturale verificata da Ekman con soggetti appartenenti a diverse culture rispetto alle emozioni di base. Altri studiosi come Fridlund (1994), sostenitori della prospettiva comunicativa, hanno attribuito alle espressioni facciali un valore prettamente comunicativo poiché manifesterebbero agli altri le intenzioni del parlante. Le microespressioni quindi varierebbero in funzione del contesto e avrebbero un valore sociale, trasmettendo obiettivi comunicativi. Al di là degli studi effettuati, tutti gli studiosi sono concordi nel sostenere l’universalità della comunicazione espressiva delle emozioni, con molte microespressioni facciali presenti in tutto il mondo, in ogni razza e cultura umana (Frijda et al., 1989): rabbia, disgusto, felicità, tristezza, sorpresa, disprezzo e paura sono universali.
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Informazioni tesi
Autore: | Alessandro Vattani |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2016-17 |
Università: | Università Telematica Internazionale Uninettuno |
Facoltà: | Psicologia |
Corso: | Processi Cognitivi e Tecnologie |
Relatore: | Sebastiano Bagnara |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 113 |
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