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Uno sguardo sulla mistica del suono e della parola nel pensiero indiano

Le correnti teistiche

Nel pensiero brahmanico e in scuole come quella dei grammatici, il suono assoluto è una realtà impersonale. Nelle correnti teistiche, la situazione appare più complessa, e forse ambigua, in quanto un mantra invocatorio (che può essere anche soltanto il nome della divinità) da un lato viene identificato con la divinità di riferimento, dall’altro può apparire persino più importante della divinità stessa, considerato che il linguaggio è ontologicamente antecedente alla realtà esperienziale.

Nei movimenti devozionali induisti, il nome divino è rivestito di un’enorme efficacia: si ritiene che la sua pronuncia, o anche la pronuncia di una sola sillaba di esso, possa salvare il devoto al momento della morte. Di conseguenza, atto di massima potenza è il japa, la ripetizione del nome sacro, attraverso il quale si dice che sia possibile ottenere tutto ciò che gli asceti conquistano tramite una lunga e faticosa pratica.

Per la precisione, il termine japa non fa riferimento solo all’ambito devozionale: esistono diverse definizioni, e diversi usi, di japa, che sono cambiati nel corso della storia e a seconda delle tradizioni. Il termine ha come significato principale quello di recitazione mormorata a carattere religioso, mai isolata, ma ripetuta molte volte. Può essere effettuata anche ad alta voce o in silenzio: quest’ultima modalità è superiore a tutte le altre, dato che le pratiche puramente mentali sono considerate le più elevate. Al livello inferiore si trova quindi la recitazione vocale (vācika), di minor valore dal momento che può essere udita da altre persone; ad un livello intermedio c’è la recitazione sottovoce (upāṃśu), in cui i suoni vengono articolati in modo da non poter essere uditi; infine c’è appunto la recitazione mentale (mānasa).

Tra le diverse concezioni e pratiche di japa, la più diffusa, soprattutto dall’XI secolo in poi, è appunto quella di nāmajapa, cioè la ripetizione devozionale del nome della divinità (nāmasaṃkīrtana nel caso in cui si tratti di ripetizione cantata). Può essere ripetuto il nome di qualsiasi dio; tuttavia, nella pratica concreta, uno dei nomi più utilizzati è Rāma. Per alcuni mistici (tra cui Kabīr, cfr. paragrafo successivo) il nome di Rāma è il mantra fondamentale che racchiude in sé la realtà suprema, e in alcuni casi le due sillabe che compongono questo nome assumono un valore paragonabile a quello di OṂ.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Uno sguardo sulla mistica del suono e della parola nel pensiero indiano

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Informazioni tesi

  Autore: Silvia Arruzzolo
  Tipo: Tesi di Specializzazione/Perfezionamento
Specializzazione in Filosofia orientale e comparativa
Anno: 2016
Docente/Relatore: Gianluca Magi
Istituito da: Scuola di Filosofia Orientale e Comparativa - Istituto di Scienze dell'Uomo (Rimini)
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 39

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Parole chiave

suono
induismo
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