Il sequestro di persona a scopo di estorsione
Le circostanze attenuanti: il pentimento operoso
L’art. 630 prevede tre diverse ipotesi di attenuazione della pena che mirano ad attuare, anche nei confronti della criminalità comune, quella strategia differenziata, già sperimentata nella lotta contro il terrorismo, che si basa, da un lato, su severi inasprimenti sanzionatori e, dall’altro, su consistenti abbattimenti di pena in funzione del contegno del reo dopo la commissione del delitto e della sua disponibilità concreta ad attenuare le conseguenze dell’illecito ovvero a cooperare con l’autorità per l’individuazione o la cattura dei compartecipi.
La prima ipotesi, vale a dire la dissociazione in funzione della liberazione del sequestrato, è stata introdotta nel corpo dell’art. 630 con la legge n. 191 del 1978, accanto alla circostanza attenuante di natura meramente oggettiva già inserita nella disposizione con la legge n. 497 del 1974, avente ad oggetto la riacquisizione della libertà ad opera del soggetto passivo senza il pagamento del prezzo; abrogata, con la legge n. 894 del 1980, tale ultima circostanza, l’ordinamento attribuisce oramai rilevanza attenuativa soltanto alla liberazione del sequestrato in funzione del ravvedimento operoso del reo.
Infatti essa prevede che si applicano le pene previste dall’art. 605 “al concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adopera in modo che il soggetto passivo riacquisti la libertà, senza che tale risultato sia conseguenza del prezzo della liberazione”. Innanzitutto, la liberazione della vittima può essere presa in considerazione in un senso strettamente oggettivo, come evento verificatosi il quale ha termine la condotta costituente il reato, il suo protrarsi nel tempo, anche se esso si sia prodotto senza il contributo dell’agente, ma per l’intervento di terzi o della vittima stessa.
Infatti non mancano nel sistema penale italiano casi in cui il legislatore ha ritenuto di conclamare il rilievo della durata della permanenza di un reato in previsioni circostanziali aggravanti o attenuanti, ma è escluso che una simile tecnica riguardi la materia dei reati di privazione della libertà. Così nella tradizione italiana si preferisce ricorrere a connotazioni differenti, quali l’intenzione dell’agente o i motivi che ne presidiano la condotta, in modo che i margini per modulare la gravità del fatto sul puro dato oggettivo della durata del sequestro appaiono molto contratti, essendo inevitabilmente preponderante sul decorso del tempo il rilievo del conseguimento del risultato.
A riprova di ciò, basta volgere lo sguardo alla prima parte del quarto comma dell’art. 630 c.p., in cui il legislatore, pur avendo attribuito rilevanza al dato oggettivo della liberazione, ha fondato la diminuzione di pena non sulla circostanza della durata del sequestro, ma sul fatto che l’avvenuta liberazione fosse avvenuta senza il conseguimento dell’intento. Quindi, la modulazione della gravità del fatto sulla durata della condotta criminosa è una tecnica che sembra meglio attagliarsi a quelle fattispecie di sequestro di persona il cui contenuto lesivo si esaurisce o s’incentra sull’offesa al diritto di libera locomozione, perché specificamente in questi casi è plausibile che la pena venga graduata alla stregua delle modalità temporali di compressione del diritto.
Quando, invece, l’offesa alla libertà personale non esaurisce il contenuto lesivo del reato, ma rappresenta il primo gradino di uno sviluppo che coinvolge tutta la persona, con i beni più preziosi di cui essa è titolare, in presenza di una condotta privativa di libertà in funzione strumentale, il legislatore può attribuire significato alla liberazione non più come dato oggettivo, bensì come volontaria contro-condotta dell’agente rispetto alla condotta criminosa che si protrae nel tempo, perfettamente antitetica a quella integrante la consumazione del reato.
In tal caso, in cui rientra appunto il sequestro di persona a scopo di estorsione, nel quale il disvalore del fatto è tracciato in relazione al suo divenire dato che la già compiuta offesa alla libertà di locomozione prelude ad ulteriori aggressioni nei confronti della vittima, il legislatore è mosso non dall’esigenza di graduazione della pena in base al grado di offesa prodotto, quanto dall’opportunità di predisporre strumenti che possano agevolare un comportamento recessivo del reo, per via della sussistenza di un forte interesse alla cessazione del programma criminoso.
La ricostruzione storica della vicenda legislativa che ha espresso l’attuale formula dell’art. 630 c.p. evidenzia come la principale esigenza politico-criminale sia esprimibile in termini di necessità di sgretolamento delle bande criminali che concretamente attuano in forme pericolosissime il sequestro estorsivo, in quanto l’obiettivo è non solo quello di far naufragare il singolo progetto criminoso, ma quello di abbattere il complessivo disegno eversivo, le cui possibilità di realizzazione sono strettamente connesse con il grado di coesione raggiunto dal gruppo criminale.
La dottrina è molto precisa nel segnalare la grande influenza esercitata sotto questo profilo dalle parallele vicende normative del cosiddetto sequestro politico, e più in generale della complessiva legislazione dell’antiterrorismo. La fattispecie descritta nel quarto comma in esame sembra articolarsi in tre momenti: la dissociazione del concorrente dagli altri responsabili, l’attivazione per la liberazione del soggetto passivo e il conseguimento di tale risultato indipendentemente dal pagamento del prezzo della liberazione.
Il requisito della dissociazione deve essere interpretato nel senso che occorre una vera e propria scissione del concorrente dalla condotta dei correi, con un oggettivo, concreto e finalizzato atteggiamento psicologico di contrapposizione rispetto agli altri e con un’attività positivamente diretta alla liberazione dell’ostaggio; stabilire se, in concreto, la liberazione dell’ostaggio sia conseguenza di un’attività positivamente diretta a tal fine costituisce un apprezzamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato.
E’ necessario, cioè, un comportamento dell’agente o del concorrente dal quale sia derivata, anche in via mediata, la liberazione del sequestrato senza il versamento del riscatto, e che tale comportamento sia oggettivamente rilevante e soggettivamente volontario, seppur non spontaneo, e non determinato da fattori esterni, quali la fuga dell’ostaggio o l’intervento delle forze dell’ordine, in quanto la finalità del legislatore è, nel quarto comma, quella di favorire la liberazione dell’ostaggio senza il pagamento del riscatto e di stimolare la disgregazione all’interno dell’associazione criminale attraverso la promessa di più lievi sanzioni.
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Il sequestro di persona a scopo di estorsione
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Informazioni tesi
Autore: | Marco Mascarello |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2007-08 |
Università: | Università degli Studi di Firenze |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Ferrando Mantovani |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 188 |
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