Impresa e cultura. «Civiltà delle Macchine» e la letteratura industriale
Le avanguardie letterarie e il macchinismo
Negli articoli e lettere, fin qui analizzati, abbiamo sottolineato un manifesto tentativo di riscoprire la poesia insita nelle macchine e nei meccanismi. Temi trattati con sfumature che spesso travalicano un semplice ottimismo, richiamando subito alla mente l’enfasi futurista. La prorompente avanguardia d’inizio secolo aveva avviato nei confronti della macchina un’adesione cieca ed entusiastica che però non può essere accostata all’utopia estetica della rivista di Finmeccanica.
Nella sua lettera Gadda aveva in parte già preso le distanze:
L’ingegnere progettista non è, beninteso, un eroe d’annunziesco intento a rimirar sé nel continuo dentro lo specchio della propria esasperata vanità. No, non vede sé, vede l’opera, vede «la cosa che dovrà essere», il filo dell’atto, degli atti […]Vede il compito davanti a sé, il «problema da risolvere» […]Non ha tempo né modo di inorgoglire del proprio gesto.
Diverse pagine della rivista furono dedicate alla letteratura dell’avanguardia primo novecentesca: nel quinto numero del 1953 Romeo Lucchese nell’articolo Whitman, Sandburg, Crane presentava tre poesie e i rispettivi autori con una breve nota. Questi scrittori erano tutti accomunati dal fatto di essere stati i più disposti ad accogliere il senso della bellezza e le suggestioni della macchina nella vita del tempo. Un anno dopo Lucchese replicava discorrendo in Larbaud, Supervielle, Cendrars, Eluard, Soupault dei poeti francesi che maggiormente si distinsero per l’elevatezza delle suggestioni avute dagli aspetti del mondo moderno. Le poesie tradotte sulla rivista, tutte dei primi decenni del Novecento, mettevano in mostra, con nitidezza e scioltezza dell’esposizione, il ruolo preminente delle macchine nella vita attuale dell’uomo.
Oltre al Futurismo e ai citati poeti francesi e statunitensi, sul bimestrale di Finmeccanica trovò spazio anche un altro movimento culturale d’avanguardia, antiletterario e antipittorico, il Dadaismo. Nel quinto numero del 1954 Achille Perilli scriveva Antologia dada in cui ripercorreva la storia del movimento, nato durante la prima Guerra Mondiale, in chiave di frattura espressiva sorta tra due particolari civiltà: l’una patriarcale in decadenza e l’altra concentrata nell’uso della macchina, civiltà in forte sviluppo ed espansione. Certamente nel dadaismo non era possibile vedere un’esaltazione della macchina, eppure trovava una sua validità in quanto movimento di rottura ed espressione sensibilissima della necessità di proporre nuovi temi e nuovi mezzi espressivi, aderenti effettivamente alla realtà del tempo.
In queste rassegne prettamente letterarie e poetiche non poteva mancare il Movimento Futurista. Nel rapporto di Sinisgalli con il mondo dell’industria e la sua rappresentazione letteraria si era già notata una malcelata polemica nei confronti della mitomania futurista, in Ritratti di macchine e successivamente in un articolo pubblicato sull’«Italia Letteraria» era apparso indifferente nei confronti di questa avanguardia d’inizio secolo e del suo fondatore. Di Marinetti, nel 1933, diceva che “non c’è milanese che non ne parli con venerazione” e del movimento e dei suoi seguaci: sono commoventi questi poeti futuristi, ragazzi di pianura dai 17 ai 19 anni, venuti in bicicletta […]per ascoltare, per la prima volta, la sua voce. Molti hanno i panieri pieni di manoscritti e con quei maglioni a righe colorate fanno uno strano seguito a Sua Eccellenza, sudato, fumante.
Oltre alla nota di Gadda però nella rivista è presente anche una rassegna di Libero de Libero, dal titolo Antologia futurista, del tutto simile alle precedenti e volta a svelare alcune delle contraddizioni insite nel movimento marinettiano.
Partendo dalla sua filiazione simbolista e specialmente dalla sua conoscenza dei versi di Walt Whitman, che “fu davvero un continente scoperto dagli europei,” lo scrittore ridimensiona la carica innovativa di Tommaso Marinetti. Egli “al par degli altri non distrusse né l’io né la sintassi in letteratura, se non quando fece parole in libertà, senza punteggiatura e non sempre coi verbi all’infinito […]gli esclamativi si contarono quasi a ogni chiusa di verso.”
Questo brano è tratto dalla tesi:
Impresa e cultura. «Civiltà delle Macchine» e la letteratura industriale
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Informazioni tesi
Autore: | Emmanuele Di Nardo |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Bologna |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Scienze Storiche |
Relatore: | Augusto De Benedetti |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 155 |
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