Le Donne, le Organizzazioni e le Politiche Femminili durante il Fascismo.
Lavorare in fabbrica: le operaie
In Italia l’impiego di manodopera femminile nell’industria meccanica e siderurgica ebbe inizio con la prima guerra mondiale, durante la quale il numero delle operaie raggiunse la cifra di duecentomila donne solo nell’industria bellica.
La possibilità di ottenere un posto in fabbrica continuò ad essere un desiderio presente e diffuso fra quelle donne che volevano offrire la propria forza lavoro sul mercato. Questo desiderio era spesso dettato dalla necessità di sopperire alla improduttività del lavoro domestico e contadino, unita alle condizioni disagiate nelle quali essi si svolgevano.
Molte donne delle campagne, ma anche numerosi uomini, guardavano con crescente interesse al mondo della fabbrica considerato più vantaggioso rispetto a quello dei braccianti e dei contadini poiché rappresentava un posto sicuro, meno pesante e meglio retribuito fino alla pensione.
Le giovani ragazze giungevano al lavoro dopo aver affrontato lunghi tragitti, spesso compiuti all’alba o alla sera, ritrovandosi prive della protezione familiare e maschile.
Tuttavia, riuscire nell’intento di ottenere il posto in fabbrica si dimostrava, spesso, un’impresa assai difficoltosa per alcune ragioni: da una lato, a seguito del processo di riconversione industriale, molti posti vennero a mancare poiché numerosi imprenditori decisero di introdurre dei metodi di lavoro razionalizzati e meccanizzati che accrescevano la produzione con l’impiego di una forza lavoro ridotta quantitativamente.
D’altro lato, il mercato industriale nel periodo interbellico fu caratterizzato da una cronica sovrabbondanza di manodopera, dovuta in buona parte alla considerevole riduzione dei flussi di emigrazioni voluta dal fascismo. Avendo a disposizione una quantità limitata di posti da assegnare ai lavoratori, si preferiva garantire il lavoro agli uomini facendo sì che i posti ancora liberi spettassero agli operai di sesso maschile.
Un’altra motivazione andava ricercata nel sistema corporativo voluto e imposto, anche se non con l’esito previsto, dal regime. Il processo atto alla costruzione del corporativismo fascista portò, di fatto, ad una condizione di particolare svantaggio per i lavoratori di diverse categorie rispetto al precedente sistema lavorativo. Gli effetti più negativi e violenti della politica di stabilizzazione intrapresa dal regime, si scaricarono sulla componente più debole della struttura sociale, le donne - per esempio inserendo la possibilità, per alcune imprese, di ridurre lievemente i salari corrisposti agli operai di sesso maschile, che rimanevano comunque più alti rispetto a quelli femminili, allo scopo di renderli più competitivi sul mercato e far sì che la scelta dell’assunzione propendesse per loro -.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Le Donne, le Organizzazioni e le Politiche Femminili durante il Fascismo.
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Informazioni tesi
Autore: | Sara Contini |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2004-05 |
Università: | Università degli Studi di Sassari |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Scienze Politiche |
Relatore: | Albertina Vittoria |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 188 |
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