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Latino e italiano attraverso i secoli

Latino Tardo e Neolatino

Il passaggio dal latino tardo al neolatino si caratterizza per molti cambiamenti. Nel campo fonetico, abbiamo la perdita del senso distintivo della quantità vocalica.
Nella morfologia, abbiamo la perdita dei casi (con poche eccezioni). Scompare il genere neutro. C’è l’introduzione dell’articolo e delle preposizioni articolate.
Nel verbo, le coniugazioni si riducono a tre. Si perde il passivo. Nasce il condizionale. Si formano i tempi composti, con gli ausiliari “essere” e “avere”. Nasce un nuovo futuro perifrastico. Si perdono il supino, il gerundivo, l’infinito futuro, il futuro anteriore.
Nella sintassi, si afferma il nuovo statuto delle preposizioni secondarie. E il verbo, nella frase, viene a precedere il complemento oggetto (con poche eccezioni).
Fra tutti questi cambiamenti, il più notevole è la perdita dei casi. E il tratto basilare, per tracciare un confine, ci appare la perdita del genitivo. Nel momento in cui, nel parlare quotidiano, il genitivo non si usa più, allora non si parla più latino tardo, ma neolatino. E questo poté accadere, quando la particella “de” iniziò ad esprimere il concetto di appartenenza.
Ma quando si cominciò, in Italia, a parlare neolatino? Alfredo Stussi guarda al settimo secolo dopo Cristo. Clemente Merlo e Arrigo Castellani pensano al sesto secolo.
Fuori d’Italia, il latino si mantiene più a lungo. Per la Gallia, Stefano Asperti guarda alla fine del settimo secolo. (“Origini romanze”, Viella editrice). Leonard Palmer pensa a un sistema bicasuale, che si protrae (in Gallia e altrove) ancora nell’ottavo secolo.
In realtà i casi non escono dall’uso in modo uniforme. Solo l’ablativo scompare ovunque (o tutt’al più si fossilizza in poche parole o forme). Il rumeno fonde dativo e genitivo. (Charmaine Lee). Ha poi ancora il vocativo, che altrove fu il caso che sparì per primo.
Il dativo vive più del genitivo, come vediamo dalla morfologia del rumeno (Carlo Tagliavini). In francese e provenzale, la distinzione tra caso retto e obliquo permane a lungo. In alcuni nomi sardi, abbiamo la “s” di un antico nominativo singolare (Domus de Maria).
Diremo allora che l’italiano è la lingua neolatina più antica, il sardo la più conservativa, il francese la più innovativa. E il rumeno è forse la più giovane, pur con i suoi tratti di arcaicità.
La fine dell’Impero romano, con la sua lingua unitaria e codificata, accelerò il formarsi delle lingue neolatine. Va notato peraltro che l’antico germanico non perse il suo sistema di casi (il tedesco lo ha tuttora), pur se gli antichi Germani non ebbero mai uno Stato unitario.
Il genitivo germanico (che vogliamo considerare il caso-cardine, quello che tiene insieme tutti gli altri) restò e resta saldo. (Lo troviamo perfino in inglese, sotto forma di genitivo sassone).

Questo brano è tratto dalla tesi:

Latino e italiano attraverso i secoli

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Informazioni tesi

  Autore: Luigi Castronuovo
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2008-09
  Università: Università degli Studi di Napoli - Federico II
  Facoltà: Lettere
  Corso: Lingue e culture moderne
  Relatore: Francesco Montuori
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 70

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