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I lager nazisti: Sterminio, prigionia e lavoro forzato. L’esperienza di Auschwitz

La vita nei campi di concentramento

Auschwitz

Auschwitz, sia per le sue dimensioni sia per il fatto di essere rimato in funzione fino al termine della guerra, rappresenta il luogo simbolo delle procedure inumane messe in atto dai nazisti per sterminare il popolo ebraico nell’intento di rinnovare l’assetto demografico dell’Europa.
Auschwitz, costruito per volere di Himmler, fu solo uno dei tanti campi di sterminio costruito dai nazisti, il primo dei quali fu costruito a Dachau, nella primavera del 1933, poche settimane dopo l’ascesa al potere di Hitler. Nei tanti campi di concentramento non furono deportati solamente soggetti ebrei, ma anche zingari e tutti coloro che sono considerati devianti (omosessuali, malati di mente, portatori di handicap etc.) e tutti i nemici ideologici (di cui fanno parte anche i testimoni di Geova).
Il periodo di attività può essere suddiviso in due contraddistinti da una diversa intensità di annientamento di vite umane: uno che va dalla sua apertura al 1942, in cui deportati e vittime furono principalmente polacchi e prigionieri di guerra sovietici, e uno che va dalla seconda metà del 1942 alla liberazione in cui deportati e vittime furono essenzialmente ebrei, quest’ultimo svoltosi con un’alta intensità di mietitura delle vittime.
L’edificazione di Auschwitz iniziò nell’estate del 1940 in una valle paludosa in un angolo sperduto della Polonia meridionale. Seppur il luogo non si presti ospitare un campo di prigionia per via della presenza di una falda acquifera inquinata, Himmler decise di non prestare attenzione al contesto per rispondere alla crescente esigenza tedesca di aumentare il numero di campi di prigionia. La valle presentò il vantaggio di godere di ottimi collegamenti ferroviari e di essere isolata e, pertanto, non facilmente osservabile. La responsabilità del progetto venne assegnata fin da subito a uno dei più devoti subordinati di Himmler, ovvero il maggiore delle SS Rudolf Höss, già comandante del campo di concentramento di Sachsenhausen. Pare che proprio a Höss sia attribuibile il cartello che accolse i deportati ad Auschwitz recante il motto macabro “Arbeit match frei” (il lavoro rende liberi), nell’intento di sottolineare che la libertà spirituale può essere ottenuta solo sacrificando sé stessi nella totale dedizione al lavoro.
La costruzione del nuovo campo avvenne grazie al duro lavoro di trenta delinquenti provenienti dal campo di Sachsenhausen e dal reclutamento coatto di ebrei nel territorio circostante. Prima ancora che il campo fosse terminato arrivò il primo treno con settecentoventotto prigionieri, giovani catturati mentre cercano di attraversare il confine con l’Ungheria. Tra questi vi furono anche preti, insegnanti e alcuni ebrei. Tutti i prigionieri furono fin da subito terrorizzati e soggiogati. La giornata tipo iniziò con un appello che, talvolta, durava delle ore. Ai prigionieri venne chiesto di lavorare correndo e chi inciampava venne bastonato. Per ottenere il rancio, un pezzo di pane nero e della brodaglia, si chiedeva loro di mettersi in ginocchio, sempre in balia degli umori delle guardie pronti a bastonarli senza alcun motivo e chi provò a lamentarsi venne picchiato ancora più brutalmente o veniva eliminato.

In inverno la temperatura si mantenne al di sotto dello zero, le nebbie gelide che si levarono la sera nel territorio entrarono nelle baracche di Auschwitz, per la maggior parte prive di infissi e di riscaldamento. Molti prigionieri si videro costretti a lavorare nella neve a piedi nudi. Per allietare il duro lavoro dei deportati al freddo, Höss, a detta del quale “ad Auschwitz tutto è possibile”, organizzò l’orchestra sinfonica di Auschwitz.
Ritenendo Auschwitz troppo piccola per contenere il numero elevato di prigionieri che sopraggiunsero quotidianamente, venne costruito Auschwitz II o Auschwitz Birkenau a pochi chilometri dal campo originario, in cui venne costruito uno stabilimento per la lavorazione della gomma sintetica in modo da sfruttare la forza lavoro per fabbricare pneumatici per i veicoli della Wehrmacht.
I Prigionieri raggiunsero il campo stipati in convogli merci ignari del loro destino, al loro seguito solo un fagotto con poco cibo e qualche abito, con a disposizione pochi secchi d’acqua e uno vuoto da utilizzare per i bisogni fisiologici. Affamati e disidratati, molti dei deportati non sopravvissero al viaggio. La possibilità di dormire fu ridotta al minimo, poiché i fagotti ingombrano il pavimento non consentirono di mettersi comodi per dormire, pertanto, ogni viaggiatore si vide costretto ad accontentarsi di accoccolarsi in un piccolo spazio.
Raggiunto Auschwitz, i deportati trovarono ad aspettarli squadre di tedeschi pronti a buttarli giù dai vagoni a calci e pugni. I deportati in preda al panico cercarono in ogni modo di restare vicini ai familiari, ma i tedeschi furono pronti a dividere gli uomini dalle donne utilizzando le barbarie più incredibili. I neonati e i bambini vennero lasciati con le madri nel gruppo delle donne. Alla prima divisione seguì una selezione operata da un medico con a suo seguito dei sottoufficiali nazisti. Il medico con un cenno del dito divise da una parte i giovani aitanti, adatti al lavoro, e dall’altra anziani e i più deboli (in questo gruppo rientrano i neonati). Con un semplice gesto il medico decise, quindi, chi doveva continuare a vivere e chi era destinato alla morte.
I prescelti per il lavoro forzato raggiunsero la “Sauna”, luogo designato per la loro immatricolazione. I deportati vennero denudati e vennero rasati loro i capelli e tutti i peli del corpo per poi essere disinfettati con spugnette intrise di disinfettante che faceva bruciare loro la pelle. Una volta puliti vennero lanciati loro dei pigiami a righe e degli zoccoli per gli uomini e lunghi camicioni a righe per le donne, questo sarà il loro abbigliamento nel corso di tutta la prigionia. Ai prigionieri non venne mai concesso il privilegio di avere abbigliamento di ricambio. I capi di abbigliamento furono periodicamente cambiati dalle autorità con un intervallo di 30-50 giorni secondo alle disponibilità e senza possibilità di scelta. La biancheria nuova non era già pulita, ma disinfettata a vapore essendo il campo sprovvisto di lavanderia. Le ripetute disinfezione degli indumenti logoravano i tessuti tanto che molti ebrei ricevettero brandelli di indumenti per coprirsi.
Alla vestizione seguiva l’ultima fase dell’immatricolazione: il tatuaggio del numero di matricola sul braccio, al termine del quel i prigionieri vennero divisi nei diversi settori del campo di concentramento, denominati “lager”, ognuno dei quali contraddistinto con una lettera dell’alfabeto. Ogni lager a sua volta fu suddiviso in “baracche” contraddistinte da un numero. Ogni baracca fu composta da due file, una a destra e una a sinistra, di lettini disposti su tre livelli dove si dormiva in otto persone per piano, stipati come sardine, senza materassi, ma solo tavolacci. Al centro fu presente una stufetta a legno per provare a riscaldare la baracca. Per potersi lavare e assolvere ai bisogni fisiologici, all’esterno le baracche furono dotate di latrine, in cui aleggiò un odore terribile, divise in due metà: una in cui fare i bisogni costituite da tavole lunghissime di cemento con dei buchi e l’altra con dei lavatoi per mantenersi puliti. I prigionieri sprovvisti di carta igienica si arrangiarono per assolvere la loro igiene personale, utilizzando il pigiama come asciugamano. L’acqua che scorse dai rubinetti della latrina non fu potabile, pertanto, in molti per dissetarsi sciolsero la neve in bocca.

Una volta assegnata la baracca, i prigionieri vennero immessi nel ciclo di lavoro, con turni di dodici ore dalle sei di mattina alle sei di sera. Giornalmente i detenuti furono svegliati alle quattro di mattina, disposti su cinque file allineati al di fuori della baracca restando in piedi anche per delle ore in attesa dell’appello. Per condurre i prigionieri al posto di lavoro figura cardine fu quella del Kapo, prigioniero cui venne affidato il compito di sorvegliare, organizzare, comandare e punire gli altri prigionieri, completamente dipendete dalle SS. Al Kapo spettò il compito di far rispettare l’ordine, la disciplina e di controllare la buona esecuzione delle prescrizioni e del regolamento da parte di tutti gli occupanti la baracca. I prigionieri vennero affidati al Kapo subito dopo l’appello per condurli sul sito di lavoro. Al fine di guadagnare qualche beneficio in più dai tedeschi, i Kapo mostrarono delle crudeltà nei confronti dei loro compagni davanti gli occhi dei loro padroni: più si mostrarono crudeli e più benefici acquisivano. I lavori assegnati agli ebrei furono tutti di manovalanza e richiedevano molta fatica, inadatti alle condizioni fisiche e alle capacità dei condannati, tra questi:
- Raccolta della legna destinata ai forni crematoi;
- Trasporto delle patate a uso esclusivo dei tedeschi;
- Pulizia dei canali di scolo;
- Recupero dei cadaveri dai fili spinati, adagiarli, denudarli e porli in carretti e trasporto fino ai forni crematoi.

Alcuni gruppi di prigionieri furono destinati a unità speciali tra cui le Sonderkommando operante nei forni crematoi. Gli appartenenti al gruppo vennero scelti tra i giovani più forti e in salute al loro arrivo al Campo, il loro lavoro consistette nell’incenerimento dei loro compagni uccisi o deceduti.
Altrettanto impossibili furono le condizioni di vita dal punto di vista psichico e morale: l’organizzazione del campo fu diretta a sopprimere prima dell’uomo la sua personalità, nessun valore umano venne preso in considerazione, i prigionieri non si ribellarono per paura di pene corporali. Fin dal loro arrivo al campo ogni prigioniero si ridusse a livello di bruto cadendo nel più grande sconforto tanto che molti soggetti si apprestarono alla morte consolatoria accostandosi ai fili spinati attraverso cui scorre la corrente elettrica.
L’unica razione giornaliera di cibo per i prigionieri fu distribuita loro la sera di ritorno dal campo di lavoro e fu rappresentata da una fetta di pagnotta di pane, di un kilo ogni per ogni otto persone, che il Kapo si occupò di dividere a metà a sua volta divisa per quattro soggetti (più o meno una fettina di pane da 125 g a testa), raramente accompagnata da un pezzetto di margarina, e da una razione di brodaglia che più che una minestra venne descritta come dell’acqua sporca in cui in casi fortuiti fu possibile vedere galleggiare un pezzetto di rapa. Questo pasto miserabile dovette bastare loro per tutto il giorno, non furono previsti altri pasti.
Tra i detenuti non mancarono epidemie di malattie infettive tra cui tifo, scarlattina, varicella, difterite, morbillo, erisipela oltre che di dissenteria e di affezioni cutanee contagiose come le epidermofizie, le impetigini e la scabbia. L’infermeria del campo fu insufficiente al trattamento delle malattie, i malati spesso vennero lasciati in balia di se stessi e se sopravvissero alle infezioni vennero inviati immediatamente alla camera a gas.
Periodicamente le SS effettuarono delle selezioni, entrarono nelle baracche in cerca delle persone più deboli, non più in grado di lavorare per mandarle alle camere a gas. Non temettero di restare senza forza lavoro visto l’elevato numero di deportati che arrivarono quotidianamente alla Rampa. Per la selezione i deportati vennero invitati a sfilare davanti un dottore, il quale indicava i soggetti da inviare alla gassazione.
Il tratto più terribile della storia di Auschwitz è l’impossibilità di quantificare il numero di persone che vi furono uccise. Rudolf Höss si attribuì la responsabilità per il decesso di due milioni e mezzo di persone, più “un altro mezzo milione che sono morte per la fame e le malattie”, sostenendo di non aver mai saputo il numero totale e di non avere elementi che gli permettessero di effettuare una stima affidabile. I nazisti, che registrarono con cura ogni uccisione, bruciarono tutti i documenti prima di lasciare il campo rendendo impossibile risalire al numero preciso dei morti che si stima essere di circa quattro milioni, valore che presumibilmente è sotto stimato.

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I lager nazisti: Sterminio, prigionia e lavoro forzato. L’esperienza di Auschwitz

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Informazioni tesi

  Autore: Denise Ingrasciotta
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2022-23
  Università: Università Telematica "E-Campus"
  Facoltà: Lingue e Letterature Straniere
  Corso: Lingue e letterature straniere
  Relatore: Silvia Bianciardi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 63

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