La villa romana del Casale di Piazza Armerina
La villa di Piazza Armerina
La villa di Piazza Armerina risulta composta da quattro nuclei architettonici, che a prima vista le conferiscono un aspetto decisamente disorganico:
I. ingresso monumentale a tre fornici e antistante cortile poligonale;
II. grande sala absidata preceduta da un peristilio quadrangolare;
III. grande sala a tre absidi preceduta da un peristilio ovoidale;
IV. complesso delle terme.
In realtà, questa apparente disorganicità organizzativa, che a una prima lettura può facilmente ingannare, è frutto di una sapiente concezione unitaria, fatto che è ben dimostrato dalla non certo casuale convergenza dei quattro assi al centro del peristilio quadrangolare.
La villa nel suo complesso è, infatti, il risultato di una studiata giustapposizione dei diversi nuclei, i quali si situano a diversa altezza del pendio collinare, raccordandosi mediante passaggi di grande funzionalità. A comprovare l’ipotesi di una unitarietà di concezione è la razionale distribuzione di ambienti pubblici e privati, come anche la funzionalità dei percorsi interni. Tutto il complesso, pur ispirandosi a modelli correnti dell’edilizia privata, risulta di grande originalità, in un sistema dove lo spazio destinato al pubblico convive armonicamente con lo spazio privato, senza che questo generi confusione e indiscrezione. D’altra parte, se di modelli si vuol parlare, la villa adrianea di Tivoli è il primo e più illustre esempio, non dimenticando però che altrettante similitudini sono riconoscibili nella più tarda villa romana, ubicata presso Noto (Sicilia), e nelle coeve ville africane. Decisamente importante è la disposizione su uno stesso asse di vestibolo-corte-nartece-aula absidata, soluzione architettonica che, già presente nell’architettura aulica del basso Impero, sarà costantemente assunta come impianto delle prime basiliche cristiane.
Ai fini di una ricostruzione architettonica, ben poco ausilio ci può derivare dalla storia di quegli studi, che dal 1881 agli anni ’50 del secolo scorso, si sono susseguiti in modo per niente edificante, perchè unicamente finalizzati alla ricerca di materiali preziosi, trascurando, invece, dati di grande valore scientifico, indispensabili per la comprensione globale del monumento. Ci rifacciamo, pertanto, alla ricostruzione formulata da Andrea Carandini a seguito degli studi da lui condotti e pubblicati nella ponderosa opera del 1982.
Alla mancanza di adeguati rilievi, supplisce la pubblicazione di sezioni e prospetti di alcune parti dell’edificio, sufficienti per aprire il dibattito degli studiosi sul problema degli elevati: esattamente ciò che è stato trascurato da uno studio troppo limitato ai soli aspetti planimetrici.
La villa è stata, dunque, costruita in un’unica fase, ma sarebbe interessante conoscere le relazioni tra le murature, cosa che purtroppo non sempre è possibile, perchè un restauro spesso pesante e scorretto ne impedisce una adeguata lettura. Qualcosa, tuttavia, si puo’ dedurre laddove il restauro è meno prevaricante. La tecnica edilizia prevalente sembra, comunque, essere un’opera incerta che include grosse schegge e ciottoli, mentre nei cantonali compare l’opera quadrata. Le volte, invece, si caratterizzano per il largo impiego di pomice e tubuli. Questi ultimi sono di probabile provenienza africana: il rinvenimento nel Canale di Sicilia di una nave oneraria romana avente per carico questo materiale insieme ad altri oggetti, dimostra come questi anforacei, utilizzati appunto per la loro proprieta’ di leggerezza nella costruzione delle volte, venissero importati dall’altra sponda del Mediterraneo.
Le stanze della villa presentano splendidi dipinti alle pareti, ma questi spesso sono fortemente danneggiati, con grandi e piccole lacune. A peggiorare ulteriormente lo stato di conservazione è una spessa incrostazione calcarea, che copre la superficie dipinta: si tratta del medesimo deposito di calce che copriva i mosaici al momento della scoperta. Gli intonaci esterni sono, inoltre, alterati da muschi, mentre quelli interni sono danneggiati da efflorescenze bianche. In alcuni punti ci sono evidenti scoli di ruggine dovuti alle travi di ferro della copertura moderna. Il restauro ha colmato le lacune con l’impiego di cemento, ma appare evidente che il contatto con questo materiale estraneo non ha fatto che accelerare lo sgretolamento dell’intonaco. In generale, si puo’ osservare che dopo decenni di esposizione all’ambiente, l’azione degli agenti atmosferici ha prodotto un evidente scolorimento dei dipinti rispetto allo stato originario.
Lo strato di preparazione dell’intonaco è uniforme in tutto l’edificio, eccetto pochi casi. Si tratta di un impasto duro e bianco con molti inclusi in cocciopesto e paglia triturata. L’evidente striatura della pennellata dimostra che il colore è stato applicato a fresco. Alcuni ciottoli in calcare giallo presentano lievi spicconate orizzontali e questo per far meglio aderire l’intonaco alla superficie lapidea di supporto.
La decorazione marmorea delle pareti si alterna a quella pittorica: negli ambienti rappresentativi di passaggio le figure dipinte sono a grandezza naturale; negli ambienti absidati, parimenti rappresentativi, le pareti erano rivestite di preziosi marmi, così pure in quelli esposti all’umidità; la palestra, la latrina, i muri esterni della villa presentano un finto rivestimento marmoreo. Le lastre di marmo sono state trafugate in antico. Gli intonaci dipinti sono tutti cronologicamente riconducibili alla prima fase: essi permangono come un ricco patrimonio inesplorato, anche a causa della mancanza di altra documentazione e del mancato recupero di materiale dagli scavi. Difficile è, pertanto, tentarne un inquadramento nell’ambito dell’arte tardo-imperiale del Mediterraneo. Tuttavia, si può citare un parallelo, con cui stabilire qualche confronto: gli affreschi della sala imperiale nel tempio di Ammon a Luxor. Si tratta di una megalografia di soldati in processione con scudi e insegne, che rendono omaggio a un imperatore tetrarchico. I colori, il repertorio, lo stile, sono molto simili agli affreschi di Piazza Armerina. Nessuna meraviglia, infatti, che qui un aristocratico assuma un atteggiamento imperiale. A questo possiamo aggiungere un’altra osservazione, ossia la notevole somiglianza nel tratto impressionistico della pennellata con le pitture catacombali.
Dedichiamo, ora, un breve cenno alle varie sculture rinvenute negli ambienti della residenza: del loro pregevole ornamento si fregiavano molti locali della villa, ma soprattutto quelli a più forte carattere ufficiale. Certamente di grande interesse è la inattesa circostanza che non si tratta di statue coeve alla villa, perchè per le piu’ importanti di esse dobbiamo ammettere una datazione di molto anteriore, tra il I e il II sec. d.C. Siamo, pertanto, di fronte a una chiara manifestazione di un interesse antiquario di cui sono depositari gli spiriti aristocratici piu’ eletti del tempo, dediti alla contemplazione e all’attività culturale.
Tra tutti degno di particolare menzione, se non altro per le migliori condizioni di conservazione, è senz’altro la statua di Apollo Licio, esposta nell’area absidale della sala di Orfeo ma tale posizione non va certo considerata come originaria: nell’abside, infatti, trovava posto il letto tricliniare del dominus. La statua è una copia romana in marmo di un originale greco di Prassitele e si fa risalire, appunto, al I sec. d. C. Più autenticamente romani sono, invece, i due ritratti, l’uno di uomo, l’altro di donna, di cui sopravvivono solo le teste e che sono esposti nel magazzino della villa. Inoltre, numerose sono, purtroppo, le statue seriamente danneggiate e di cui si conservano solo pochi frammenti che lasciano poco margine al nostro giudizio di studiosi moderni.
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La villa romana del Casale di Piazza Armerina
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Informazioni tesi
Autore: | Vincenzo Castelli |
Tipo: | Diploma di Laurea |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Napoli - Federico II |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Operatore dei Beni culturali |
Relatore: | Carlo Gasparri |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 83 |
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