Aspetti tecnici e giuridici della partecipazione a distanza al dibattimento
La verifica dei presupposti e l’adozione del provvedimento
Il secondo comma dell’art. 146-bis disp. att. c.p.p. recitava: “La partecipazione al dibattimento a distanza è disposta, anche d'ufficio, dal presidente del tribunale o della corte di assise con decreto motivato emesso nella fase degli atti preliminari, ovvero dal giudice con ordinanza nel corso del dibattimento. Il decreto è comunicato alle parti e ai difensori almeno dieci giorni prima dell'udienza”.
L’impostazione così configurata dall’art. 146-bis disp. att. c.p.p. presupponeva un intervento da parte dell’organo giurisdizionale, chiamato a valutare la sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento di ammissione alla partecipazione a distanza dell’imputato al dibattimento: tali presupposti, lo ricordiamo, erano indicati dai commi 1 e 1-bis dell’art. 146-bis disp. att. c.p.p.
Il primo comma stabiliva che, nel caso si procedesse nei confronti di una persona che si trovasse, a qualsiasi titolo, in carcere, per taluno dei delitti indicati dall’art. 51 comma 3-bis c.p.p. o 407 comma 2, lett a), n. 4 c.p.p., ai fini della partecipazione a distanza dovesse sussistere almeno una delle seguenti condizioni oggettive: gravi ragioni di sicurezza o di ordine pubblico, particolare complessità del processo e pericolo di eccessivi ritardi nel suo svolgimento. In secondo luogo, il comma 1-bis dell’art. 146-bis disp. att. c.p.p. subordinava l’adozione del provvedimento di ammissione alla partecipazione a distanza alla circostanza che l’imputato fosse sottoposto alle misure di cui all’art. 41-bis ord. penit.
Punto fermo di tutti i progetti di legge presentati alle Camere era che l’adozione del provvedimento in esame dovesse essere un atto “dovuto”, in presenza dei presupposti indicati dall’art. 146-bis disp. att. c.p.p. Si ravvisavano delle differenze, invece, nelle formulazioni della disposizione in esame predisposte da ogni singolo progetto di legge, con riferimento alla fase di adozione del provvedimento e alla sua forma.
Il progetto di legge n. 3632 presentava la formulazione più ampia. Prevedeva semplicemente che “il giudice o, (…), il presidente, anche di ufficio disponesse che la partecipazione al dibattimento dell’imputato (…) avvenisse a distanza”.
Si trattava di una disposizione estremamente vaga e generica: in primo luogo, non vi era alcun riferimento alla fase processuale nella quale adottare il provvedimento. Ciò comportava la possibilità di disporre la partecipazione a distanza in qualsiasi fase processuale: a dire il vero, però, a meno che i presupposti per il ricorso alla videoconferenza non fossero venuti ad esistenza nel corso del processo, non c’era alcun motivo logico che giustificasse la scelta di consentire l’adozione del provvedimento in uno stato avanzato del processo.
In secondo luogo, la proposta di legge n. 3632 nulla stabiliva con riferimento alla forma che avrebbe dovuto avere il provvedimento, limitandosi semplicemente a stabilire che l’organo giurisdizionale, in presenza dei presupposti di cui ai commi 1 e 1-bis, avrebbe dovuto “disporre” la partecipazione a distanza al dibattimento.
Anche la proposta di legge n. 1602 risultava piuttosto generica, poiché anch’essa non stabiliva in quale fase processuale sarebbe stato necessario adottare il provvedimento. Tuttavia questa proposta, a differenza della n. 3632, individuava nel “decreto motivato” la forma del provvedimento.
Le due iniziative più strutturate, la n. 481 e la n. 1845, erano tra loro coincidenti e venivano articolate in modo più preciso: in particolare, si distingueva a seconda che il provvedimento venisse adottato nel corso degli atti preliminari al dibattimento o a dibattimento già avviato. Nel primo caso, la competenza per l’adozione del provvedimento era attribuita al presidente del tribunale o della corte d’assise, mentre nel secondo caso al giudice procedente.
Indubbiamente quest’ultima formulazione, oltre ad essere la più dettagliata, era anche quella più ragionevole, poiché prevedeva espressamente che la partecipazione a distanza potesse essere disposta nel corso degli atti preliminari al dibattimento e ciò era certamente coerente con la ratio dell’art. 146-bis disp. att. c.p.p.: se lo scopo dell’intera disciplina è quello di evitare le problematiche collegate alle traduzioni, sia in termini di costi che in termini di sicurezza, certamente è comprensibile che il legislatore abbia voluto rendere possibile l’adozione del provvedimento in esame ancor prima dello svolgimento della prima udienza.
Nel caso in cui la partecipazione a distanza fosse stata disposta preliminarmente rispetto al dibattimento, le proposte n. 481 e n. 1845 prevedevano che il provvedimento dovesse avere la forma del decreto motivato, adottato senza alcun contraddittorio preventivo e comunicato alle parti ed ai difensori nel termine di dieci giorni prima della data di udienza, al fine di “consentire alle parti di far fronte agli eventuali problemi organizzativi”.
L’assenza di un contraddittorio instaurato preventivamente rispetto all’adozione del provvedimento con cui si dispone la partecipazione a distanza, non sembrava turbare particolarmente il legislatore nel corso dei lavori parlamentari. In sede di esame della proposta di legge alla Commissione giustizia della Camera, vi fu un unico intervento nel quale si evidenziarono le problematiche derivanti dall’adozione “unilaterale” del provvedimento: ciò che si contestava era il “potere d’impero” attribuito al magistrato nei confronti delle parti, le quali non avevano alcuna possibilità di partecipare alla decisione.
Ad onor del vero, alle stesse non veniva nemmeno consentito di impugnare la decisione e si riteneva che ciò determinasse una palese violazione del loro diritto di difesa. A bilanciare questo aspetto però, era prevista la possibilità per la parte interessata di chiedere lei stessa l’adozione del provvedimento per la partecipazione a distanza qualora, per esigenze proprie, preferisse rinunciare a presenziare fisicamente nell’aula di udienza. Ciò si deduceva dalla circostanza che il comma 2 recitava “la partecipazione a distanza è disposta, anche d’ufficio…”: la formula “anche d’ufficio” stava a specificare che l’organo giurisdizionale non era l’unico a poter assumere l’iniziativa per l’adozione del provvedimento di ammissione alla partecipazione a distanza, nonostante gli spettasse comunque la decisione finale, poiché la questione poteva essere sollevata anche dall’imputato stesso o dal magistrato del pubblico ministero.
Nel corso dei lavori parlamentari, sebbene il dibattito sulla materia in questione sia stato piuttosto blando, venne presentato ed approvato un emendamento con il quale in primo luogo venne eliminata la possibilità di adottare “anche d’ufficio” il provvedimento di ammissione alla partecipazione a distanza dell’imputato. In secondo luogo, fu eliminato il termine dilatorio per la comunicazione del decreto alle parti e, infine, venne introdotta la necessità di instaurare il contraddittorio tra le parti ai fini dell’assunzione della decisione.
In questo modo, la partecipazione a distanza poteva essere disposta solo su iniziativa dei difensori delle parti o del magistrato del pubblico ministero.
Tale impostazione approvata dalla Commissione destava però alcune perplessità, sia perché era evidente la volontà di ridurre la portata dell’intervento giurisdizionale, assegnando il potere d’iniziativa alle parti, sia perché veniva escluso che il decreto fosse portato a conoscenza degli interessati con un congruo anticipo e non si comprendeva in che modo tale necessità potesse essere sostituita dall‘obbligatorietà del contraddittorio tra le parti. Inoltre, con riferimento alla previsione della competenza esclusiva in capo al presidente, nella fase preliminare al dibattimento, per l’adozione del provvedimento in esame, è opportuno sottolineare che furono diversi gli interventi di coloro i quali sostenevano che un provvedimento come quello con il quale si consente la partecipazione a distanza dell’imputato fosse di importanza tale da dover essere adottato dal giudice, piuttosto che dal solo presidente.
Accanto alle reticenze di molti, diversi furono gli interventi di chi, invece, si mostrava favorevole alla nuova formulazione del secondo comma dell’art. 146-bis disp. att. c.p.p.: il necessario contraddittorio tra le parti prima dell’adozione del provvedimento era inteso come uno strumento predisposto a tutela del loro diritto di difesa e, sebbene non vi fosse la possibilità di impugnare il provvedimento adottato, “un avvocato accorto, che sia professionalmente idoneo, con la sua presenza e con la sua partecipazione” avrebbe potuto controllare se il diritto di difesa delle parti fosse stato effettivamente rispettato.
La modifica introdotta con l’emendamento 2.6, però, ebbe vita breve, perché l’inciso “sentite le parti” non compariva nel testo trasmesso al Senato.
Nel prosieguo dei lavori, infatti, fu presentato ed approvato un ulteriore emendamento con cui veniva reintrodotta la formulazione originaria: la Camera approvò il testo dell’art. 146-bis disp. att. c.p.p. nella versione che era
stata proposta con il disegno di legge governativo n. 1845, poiché vennero ripristinati sia l’intervento d’ufficio del giudice che la notificazione alle parti del decreto motivato, adottato nel corso degli atti preliminari al dibattimento, nel termine di dieci giorni prima della data dell’udienza.
Nel corso dell’esame al Senato del testo approvato dalla Camera, vennero formulate delle proposte di integrazione che però non ebbero alcun seguito. Per esempio, fu presentato un emendamento volto all’introduzione di una disposizione che regolasse l’eventualità del venir meno dei presupposti che giustificano l’adozione del provvedimento di ammissione alla partecipazione a distanza; tuttavia, tale emendamento non fu approvato in ragione del fatto che si riteneva scontato che, laddove fossero venute meno le condizioni di cui
all’art. 146-bis disp. att. c.p.p., nulla avrebbe impedito al giudice di revocare il provvedimento adottato. In sostanza, il Senato approvò il testo del secondo comma così come fu approvato dalla Camera.
Così come per il primo comma dell’art. 146-bis disp. att. c.p.p., anche con riferimento al secondo comma si rilevavano delle lacune che dovevano essere colmate. Anche in questo caso, infatti, la formulazione della disposizione appariva generica, tale da comportare alcuni problemi interpretativi.
In particolare, sebbene fosse pacifico che, in presenza dei presupposti e delle condizioni di ammissibilità della partecipazione a distanza, il provvedimento fosse “obbligatorio”, nulla veniva previsto sulla necessità di portare le parti interessate a conoscenza dello stesso quando fosse stato emesso nel corso del dibattimento. Il legislatore infatti non prevedeva alcun termine a difesa, a differenza dell’ipotesi in cui il “decreto motivato” fosse stato adottato nella fase degli atti preliminari al dibattimento. Mentre in quest’ultimo caso era espressamente previsto un termine perentorio entro il quale le parti avrebbero dovuto essere avvisate della decisione del giudice (almeno dieci giorni prima della data dell’udienza), nell’ipotesi in cui il provvedimento fosse stato adottato
nel corso del dibattimento non era previsto alcun termine a favore dell’imputato e si sosteneva che questo elemento potesse compromettere l’effettivo esercizio del suo diritto di difesa.
Per evitare che ciò accadesse, si riteneva che il giudice avesse la possibilità di concedere all’imputato un rinvio del dibattimento, in modo tale da consentirgli di organizzare al meglio l’attività difensiva, tenendo conto delle determinazioni contenute nel provvedimento di ammissione alla partecipazione a distanza.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Aspetti tecnici e giuridici della partecipazione a distanza al dibattimento
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Informazioni tesi
Autore: | Sara Creati |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2019-20 |
Università: | Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Alessandro Cortesi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 188 |
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