La tutela penale del domicilio informatico
La struttura del reato ed il bene giuridico protetto
Tra le nuove disposizioni che il legislatore ha inserito nel codice penale sulla base delle indicazioni provenienti dal Consiglio d'Europa, vi è l'art. 615 ter, in forza del quale, a querela della persona offesa, è punito con la reclusione fino a tre anni il soggetto che si introduce o si mantiene in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza contro la volontà, espressa o tacita, di chi ha il diritto di escluderlo.
Si noti subito che, mantenendo il parallelismo con il domicilio in senso tradizionale, «accesso significa ingresso», ma si tratta di un accesso virtuale, e non fisico, che tuttavia consente di ottenere la disponibilità di dati e di informazioni e l'uso di programmi contenuti nel sistema stesso. Colui che si introduce indebitamente nell'altrui sistema commette un reato al pari di chi si introduce in un'abitazione senza il consenso dell'avente diritto. In primo luogo viene quindi sanzionata l'intromissione nel sistema realizzata con qualsiasi mezzo, che si riferisce sia all'accesso “da lontano”, tipico di quei soggetti definiti hacker, sia quello “da vicino” eseguito da chi si trova in diretto contatto con l'elaboratore altrui. Si tratta di una specificazione che si evince dalla norma stessa tanto che un orientamento dottrinale ha sostenuto che «il legislatore ha “peccato” nel non averlo espressamente stabilito», come invece è stato fatto nei codici di altri Paesi (come ad esempio quello portoghese). L'acceso a cui fa riferimento la norma è ovviamente quello elettronico, telematico (realizzato mediante interazione sulla tastiera dell'elaboratore o connessione elettronica tra i computer, ovvero attraverso delle apparecchiature specifiche), ma non quello materiale previsto dall'art. 614 c.p. La norma testimonia l'estensione della protezione penale offerta ad ogni forma di domicilio; pertanto reprime solo ed esclusivamente quei casi in cui l'introduzione in un sistema avvenga contro la volontà precisa dell'avente diritto, contrarietà resa palese dalla presenza di misure di protezione.
La fattispecie presenta spunti interessanti di riflessione dal punto di vista del bene giuridico tutelato. Essa è una delle disposizioni applicate più frequentemente fra quelle introdotte dalla l. 547/1993, volta a tipizzare e sanzionare i c.d. computer crimes. L'art 615 ter è collocato tra i delitti contro l'inviolabilità del domicilio, perché si è ritenuto che «i sistemi informatici costituiscano un'espansione ideale dell'area di rispetto pertinente al soggetto interessato, garantito dall'art. 14 della Costituzione e penalmente tutelata nei suoi aspetti più essenziali e tradizionali dagli art. 614 e 615 del Codice penale». Si tratta di un'impostazione rafforzata dalla Suprema Corte, la quale ha considerato il domicilio informatico come spazio ideale, ma anche fisico, in cui sono contenuti i dati informatici di pertinenza della sfera individuale. Di conseguenza determinate attività andrebbero tutelate perché svolte all'interno di un luogo che non è pubblico, ma appartenente ad un soggetto. Tra l'altro, la tutela si estenderebbe, secondo parte della dottrina, a qualsiasi titolare dei dati, incluse anche le persone giuridiche, in quanto «l'ente ha una propria sfera privata connotata, al pari di quella della persona fisica, dall'interesse penalmente tutelabile alla conoscenza esclusiva delle proprie vicende e al controllo sulle stesse»
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La tutela penale del domicilio informatico
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Informazioni tesi
Autore: | Roberta Federico |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2008-09 |
Università: | Università degli studi di roma tre |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Mauro Catenacci |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 138 |
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