Integrated Marketing Communications nel mercato cinematografico: il caso The Walt Disney Company
La situazione ad oggi dell’industria cinematografica statunitense
Negli Stati Uniti, l’evoluzione del mercato cinematografico è stata più altalenante. Negli anni del dopoguerra, chi aveva investito nei bond di guerra stava cominciando ad incassare e di conseguenza preferiva comprare casa nei sobborghi, in zone più tranquille, allontanandosi dalle città, sulle quali le major avevano fondato la loro fortuna. Muoversi solo per vedere un film, quindi, non era più conveniente. Per ovviare a questo problema vennero costruite due soluzioni: i drive-in, come nuovi cinema dei sobborghi; i centri commerciali (mall), spazi per lo shopping e per il tempo libero, con all’interno dei cinema da cinque o più schermi. Il miglioramento economico, però, aveva cambiato anche le abitudini. Il tempo libero veniva speso in altre attività, come la musica, gli sport e la televisione.
Sebbene in un primo momento tutte le major rifiutarono di vendere o affittare i propri film ai canali televisivi, dal 1954 la tendenza si invertì, grazie anche al contratto milionario firmato dalla RKO per la propria intera libreria di film, e successivamente i maggiori studi di produzione cominciarono a creare i primi show televisivi. Il mercato televisivo obbligò, inoltre, a modificare il flusso narrativo del prodotto, passando da fluido ad interrotto, in modo da poter ospitare al suo interno le pause pubblicitarie.
Oltre ad affrontare il rinnovamento degli studi a causa della competizione con la televisione, l’industria cinematografica dovette modificare i modelli di business basati sull’integrazione verticale. Infatti nel 1948, con la sentenza “Paramount Decision”, la Suprema Corte ravvisò la violazione dello Sherman Antitrust Act nel settore cinematografico a causa della contemporanea presenza delle case nella produzione, distribuzione ed esibizione, ed obbligò le case di produzione a spogliarsi dei propri cinema o catene di cinema. Alcune major, a causa della perdita dei profitti causata dalla vendita dei cinema, come MGM, Warner Bros. e Paramount (che a quel tempo possedeva la più numerosa catena di cinema nella storia), affrontarono un periodo di crisi, ed infine vennero assorbite da società che si occupavano di tutt’altro. Altre, come 20th Century Fox, affrontarono problemi finanziari a causa dei fallimenti multimilionari di alcune produzioni. Altre ancora, Universal, Columbia ed United Artists, che non possedevano alcun cinema, furono più flessibili ai cambiamenti del mercato, adattandosi con relativa facilità ad una produzione più indipendente.
Da ultimo, emerse una nuova major, cresciuta negli anni della guerra, ossia la Walt Disney Corporation, la cui forza consistette nella creazione della Buena Vista come braccio distributivo, nel rifiuto di noleggiare i propri film ai canali televisivi (così da poterli reimmetterli regolarmente sul mercato, con profitti sempre positivi per un futuro indefinito), e nella creazione dello show settimanale di un’ora “Disneyland” sul canale ABC, in modo da poter anche pubblicizzare i propri film.
Per uscire da questa spirale di crisi, furono fatti degli studi sull’età degli spettatori. I risultati mostrarono come i più assidui frequentatori di cinema fossero gli adolescenti ed i giovani, indicativamente nell’intervallo di età tra i 16 e 24 anni. Questo diede modo di produrre film a basso costo ma molto redditizi, per giungere infine alla “New Hollywood”, che riportò in auge il blockbuster americano.
Le case compresero che era inutile perdere profitti per produrre miriadi di film all’anno, quanto piuttosto era fondamentale focalizzarsi su al massimo una decina, con un grosso budget alle spalle, da rilasciare nei giorni di festa. Inoltre, notando che le persone andavano a vedere lo stesso film più e più volte, si intuì che sarebbe stato profittevole estendere le linee narrative in sequels, non solo di uno stesso prodotto ma anche di un genere intero. Anche la commedia fu trasformata per un pubblico adolescente, in una direzione diversa rispetto all’evoluzione della situazione italiana. L’alto potenziale di questi film ha permesso alle major di conquistare anche il mercato internazionale, ad esempio investendo nella costruzione di cinema in Europa, in modo da ritornare ad una politica di integrazione verticale che negli USA non è possibile attuare.
Nell’odierno panorama industriale-cinematografico statunitense, le major hanno principalmente ruolo di sostegno finanziario e distributivo del materiale cinematografico, ed anche di attuazione di politiche di marketing non più solamente legate al prodotto cinematografico, ma anche relativamente a “mercati ausiliari” come le colonne sonore, l’home video, il merchandising, oltre a serie tv derivate, i fumetti e, in tempi più recenti, i videogame, mentre la produzione vera e propria viene affidata a studi indipendenti. [...]
Questo brano è tratto dalla tesi:
Integrated Marketing Communications nel mercato cinematografico: il caso The Walt Disney Company
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Informazioni tesi
Autore: | Paolo Giovanni Fomitchenko |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2016-17 |
Università: | Università degli Studi di Milano - Bicocca |
Facoltà: | Scienze Economiche e Aziendali |
Corso: | Scienze economico-aziendali |
Relatore: | Sabina Riboldazzi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 122 |
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