L'immigrazione in Sardegna: paesi di provenienza e distribuzione territoriale

Nei percorsi dell’immigrazione verso l’Europa, la Sardegna è stata da sempre considerata solo una tappa. La presenza di immigrati nell’Isola è meno consistente rispetto alle altre regioni italiane; ciò è dovuto alla limitatezza del mercato sardo, alla condizione di arretratezza relativa del suo apparato produttivo e a un mercato del lavoro appesantito da un tasso elevato di disoccupazione.
Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 del Novecento, sulle spiagge più affollate della Sardegna cominciano a vedersi i primi venditori ambulanti di carabattole varie, di chiara provenienza “di colore”.
Meno visibile era una “colonia” polacca nelle miniere di Silius e una presenza saltuaria di lavoratori agricoli stagionali provenienti dal Maghreb impiegati in alcune medie aziende agricole impiantate da pieds-noir giunti in Sardegna dopo le turbolente indipendenze africane.
Qualche anno dopo compaiono nel panorama sardo come figure del tutto consuete i venditori ambulanti che si concentrano regolarmente in tutti i punti di maggiore affollamento, come parcheggi, ingressi dei supermercati, strade di maggior traffico; i venditori di tappeti e biancheria per la casa che girano tra le strade dei paesi sardi su improbabili bancarelle semoventi; i ristoranti cinesi sempre più numerosi; i negozi di merci “esotiche”; le domestiche filippine o sudamericane.
La Sardegna si caratterizza per l’estrema rapidità del cambiamento: la società sarda aveva infatti appena finito di metabolizzare gli effetti dei flussi massicci dell’emigrazione e comincia ad essere terra di immigrazione. Gli stranieri presenti nel territorio sardo provengono dal 70 % dei paesi del mondo; questo fatto nuovo e importante, induce a prendere in considerazione i problemi che pone e che porrà una società multietnica, con religioni, lingue, razze e culture diverse che devono convivere fianco a fianco nella vita quotidiana (Zurru, 2002).