Il putinismo e il ruolo della Russia del mondo post-bipolare
La Russia come potenza globale: Cina, India e Medio Oriente
Per quanto le relazioni con l’Occidente siano state prioritarie sin dalla dissoluzione dell’URSS nel 1991, ci sono comunque vettori di politica estera ai quali la leadership russa riconosce una funzione di complementarietà rispetto all’asse USA/UE, pur sempre con l’obiettivo di bilanciare il potere economico e politico delle due strutture occidentali e accreditando così la struttura poliarchica del sistema internazionale. La Russia quindi è orientata, in particolar modo per il prossimo futuro, a spostare il proprio interesse sia verso stati come la Cina, in fase di ascesa verso il rango di superpotenza, sia verso raggruppamenti inediti come i Bric, dimostrando con questo nuovo orientamento di essere non solo un attore pragmatico, ma anche versatile.
La Russia da un punto di vista geopolitico rappresenta un caso anomalo in quanto, a causa della sua estensione, non è né interamente europea né asiatica. Nonostante ciò il rapporto con l’Oriente riveste una qualità culturale molto più contenuta rispetto alle relazioni storiche con l’Ovest. “È l’Occidente nelle sue diverse evoluzioni che attrae e forgia, anche quando apparentemente rifiutato, la società russa” (Giusti 2012, 110).
Con l’esplosione della crisi finanziaria nel 2008 si però dimostrato quanto le economie mondiali siano interconnesse tra loro e quanto l’eccezionalismo russo svanisca di fronte alle conseguenze di un mondo globalizzato. La Cina, a sua volta, è probabilmente l’unico stato uscito rafforzato dalla crisi, sia in termini economici, sia in termini simbolici, quest’ultimo racchiuso dal sorpasso, in termini di PIL, sul Giappone, nel 2011. La de-politicizzazione degli ambienti economici messa in atto in Cina ha inoltre liberalizzato il mercato, trasformando una società prevalentemente agricola in una basata sull’innovazione. Oggi il mondo guarda a Pechino come la vera superpotenza del XXI secolo.
In Russia il successo del modello cinese di modernizzazione autoritaria imposto dal centro genera un fascino irresistibile, soprattutto perché la caduta del prezzo degli idrocarburi nella seconda metà del 2008 ha evidenziato come gli enormi introiti della politica energetica russa siano, allo stesso tempo, la grande forza e la grande debolezza del paese. Il formidabile balzo in avanti della Cina ha quindi spinto la Russia a proporre la propria partnership al Beijing consensus, in aperto contrasto al Washington consensus e alle istituzioni che esso rappresenta, Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale.
Il cemento delle relazioni russo-cinesi è rappresentato, anche in questo caso, dall’energia ê si ê tradotto in termini concreti con l’istituzione di un oleodotto transnazionale e attraverso gli accordi di cooperazione tra Gazprom e la China National Petroleoum Corporation (Giusti, 2012).
Di fronte ad una potenziale crescita nei rapporti economici tra i due paesi si nota però un confronto concorrenziale sul piano geostrategico. La Russia è incentivata a preservare la propria influenza in Asia centrale, così come il gigante cinese è attratto dalla possibile di attirare nella propria orbita il Kazakhstan, ricco di risorse petrolifere. Entrambe sono però accomunate dall’impegno nella lotta al terrorismo di matrice islamica.
Ma se dal punto di vista cinese la Russia non rappresenta altro che un possibile partner strategico, per Mosca la collaborazione con il paese asiatico rappresenta la chiave di volta utile per rafforzare la propria posizione sullo scenario internazionale, candidandosi anche come ponte in un potenziale sistema bipolare tra USA e Cina. Pertanto il riavvicinamento russo-cinese va inteso più nei termini di una convergenza d’interessi contingenti che di una possibile vera e propria alleanza, attuale o futura.
Tutto ciò si ê quindi riflesso pienamente nello sviluppo dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO). Nata nel 1996 e ampliatasi nel 2001 con l’ingresso dell’Uzbekistan, l’organizzazione nasce per il rafforzamento militare nelle regioni di confine tra Russia, Cina e paesi ex URSS dell’Asia centrale, ma l’attività del gruppo si è spinta sino a una reale cooperazione su tre ambiti prioritari: economico, politico e militare. Gli accordi rigettano i riferimenti alla democrazia occidentale nonché ai valori che essa porta con sé. Pertanto i seppur brevi episodi di manifestazione popolare, come la rivoluzione dei Tulipani in Kirghizistan, sono considerati in ambito SCO come interferenze esterne.
Nonostante questo la SCO mantiene un ruolo sussidiario all’interno delle priorità russe nell’Asia centrale dato che il paese preferirebbe operare nell’area attraverso le due organizzazioni che essa guida, l’OTSC e l’EurAsEC. In ogni caso la SCO permette alla Russia in primis di avere un canale di dialogo privilegiato con la Cina, dopo decenni di rapporti freddi, e, secondariamente, di poter influenzare l’organizzazione in chiave anti NATO.
Parallelamente all’evoluzione dei rapporti con Cina sempre nel settore asiatico si sviluppano i rapporti russi con l’India, altra potenza regionale in ascesa. I rapporti russo-indiani affondano le radici in piena guerra fredda e si sono diretti verso il settore degli armamenti poiché storicamente le due nazioni sono accomunate da minacce simili. Il Pakistan, ad esempio, sin dalla sua formazione come stato autonomo, rappresenta un nemico irriducibile per lo stato indiano ma, allo stesso tempo, da decenni è anche il punto fermo della strategia militare americana in Asia centrale. Questo ha fatto si che i due paesi si siano spesso trovati a dover fronteggiare nemici comuni.
La cooperazione fra i due paesi non si ferma comunque al settore militare e trova una sua fortificazione all’interno del gruppo Bric, termine coniato dalla banca d’investimenti Goldman Sachs nel 2011 per identificare le economie in più rapida crescita e tali da costituire per il prossimo futuro un gruppo validamente concorrenziale per quello del G8. Proprio in questo senso è significativa la decisione del 2009 di quest’ultimo di ampliare la partecipazione dei summit ad altri dodici paesi trasformando gli incontri da G8 a G20 (Giusti, 2012).
Una tale crescita della potenza economica sembra preludere un altrettanto rapida crescita di peso politico tale da trasformare un acronimo di uso giornalistico in una sorta di lobby diplomatica, soprattutto grazie alla pressione del Cremlino. Tutto ciò ha permesso una progressiva istituzionalizzazione del gruppo attraverso incontri a cadenza annuale e soprattutto con la creazione di una banca di sviluppo dotata di capacità di finanziamenti per infrastrutture e progetti di sviluppo sostenibili. Nonostante ciò i paesi del gruppo Bric mantengono tra loro ampie differenze sia in termini strettamente quantitativi, sia strutturali, nonché di modelli economici di cui sono portatori.
Di tutt’altra natura invece ê lo scenario del Medio Oriente. Durante la Guerra fredda l’ombra del bipolarismo si era allungata anche sulla regione con il relativo allineamento dei paesi coinvolti in conseguenza dell’importanza globale della zona per la produzione del petrolio. Con la fine della guerra fredda la zona ha invece perso importanza sull’agenda russa essendo prioritario, per il paese, potersi dedicarsi alla fase di transizione da economia centralizzata a economia di mercato. La Russia si è quindi ritirata simbolicamente dalla regione, lasciando il compito di unica potenza esterna dell’area agli USA, in pieno attività di potenza unipolare.
Con la fine del conflitto tra i due blocchi contrapposti l’area ha però ripreso a essere foriera d’instabilità. Di conseguenza, il Medio Oriente ê tornato a essere al centro del confronto internazionale e la Russia, stabilizzata la situazione interna, si è riproposta come interlocutore per la regione. Al Cremlino si contesta da sempre l’idea occidentale dell’esportazione della democrazia con le armi, come avvenuto in Iraq nel 2003 e in Libia nel 2011. Proprio nel caso della caduta di Gheddafi il paese ha infatti espresso tutta la sua contrarietà per un intervento che è andato ben oltre le competenze del mandato ONU.
La Russia ê quindi considerata oggi un attore chiave all’interno dell’area, sia per quanto riguarda la capacità di fronteggiare nuove situazioni, come le cosiddette “Primavere arabe”, sia per i nodi storici della regione, come l’irrisolto conflitto israelo-palestinese. Per i russi, a loro volta, il Medio Oriente rappresenta un importante scacchiere sul quale riaffermarsi come potenza, da realizzarsi in primis sfruttando l’instabilità endemica dell’area attraverso il mercato delle risorse energetiche. Quest’ultimo elemento si scontra però direttamente con gli altri paesi dell’area che fanno uso della leva energetica per dirigere la politica a proprio favore, e che mirano ad assumere il medesimo rango internazionale, come l’Arabia Saudita.
Mosca tuttavia mira a mantenere una certa indipendenza dalle organizzazioni petrolifere mondiali, al fine di ritagliarsi uno spazio di manovra autonomo. Allo stesso tempo spinge invece per la costituzione di un oligopolio nel mercato del gas, con la costituzione di un cartello nel mercato del gas, la cosiddetta “troika del gas”, attraverso accordi di spartizione del settore con gli altri due maggiori produttori mondiali, Iran e Qatar.
In aggiunta al vettore energetico, Mosca, come nel caso dei rapporti con l’India, può utilizzare la leva degli armamenti a fini politici, in particolare in un’area come il Golfo Persico dove la spesa militare degli stati è tra le maggiori al mondo. Questa strategia incontra l’opposizione sia da parte americana, in virtù della storica protezione USA su Israele, nonché del ruolo di principale garante della stabilità saudita, sia da parte delle componenti islamiche estremiste che non considerano certo positivamente la politica perseguita da Mosca nelle regioni russe a maggioranza musulmana.
La ricerca di un proprio spazio nell’area da parte russa ê risultata evidente anche alla vigilia dell’invasione irachena del 2003. Il presidente Putin inviò infatti il proprio rappresentante Evgenij Primakov, già primo ministro, a Baghdad per una delicata missione volta proprio a convincere Saddam Hussein a lasciare anticipatamente il potere, evitandogli così l’umiliazione di una rovinosa caduta, come poi accaduto.
Ma ê soprattutto con l’inizio delle cosiddette “Primavere arabe” nel 2011 che si delinea una più chiara strategia russa nell’area. Sia Putin, sia Medvedev sottolinearono la fioritura di questi processi di trasformazione democratica in una zona storicamente ricca di governi dispotici, in totale contrasto rispetto alla considerazione negativa fatta per le rivoluzioni colorate messe in atto nello spazio ex sovietico. Allo stesso tempo però manifestavano un’intensa preoccupazione per il rischio di regressione della stabilità statale in paesi che avevano mantenuto saldo il controllo sull’ampio mosaico interno di religioni ed etnie proprio grazie a questi regimi autoritari.
Il caso siriano ha rimarcato, secondo Mosca, la miopia con cui l’Occidente ha guardato alle rivoluzioni arabe, non accorgendosi che le contrapposizioni tra sunniti e sciiti travalicano i confini nazionali e sono portatori di un clima d’instabilità e anarchia che una volta instaurati generano risultati catastrofici. Secondo il pensiero russo l’Occidente, semplificando la questione al mancato rispetto dei diritti umani da parte dei regimi al potere e affidandosi a un intervento militare esterno come in Libia nel 2011, non crea altro che una totale destrutturazione di già fragili equilibri. Il risultato finale, come sempre, risulta l’infiltrazione di elementi terroristici all’interno dei paesi coinvolti.
La Siria, tra l’altro, rappresenta uno storico alleato di Mosca nella regione e il crollo del regime di Assad, sia a causa di un intervento militare occidentale, sia per la pressione dei ribelli interni, moderati o estremisti che siano, rappresenterebbe un fallimento totale della strategia russa per il Medio Oriente. Secondariamente proteggendo la Siria, Putin mantiene anche aperto il canale del dialogo con l’Iran, uno dei pochi paesi dell’area con i quali Mosca intrattiene rapporti distesi e fruttuosi (Giusti, 2012).
Il Medio Oriente rappresenta quindi uno degli scenari internazionali dove gli interessi di Russia, Occidente e delle altre potenze in ascesa collidono. Esistono però alcuni punti di frizione talmente importanti per gli interessi di Mosca e tanto vicini al cuore del nuovo “impero” russo che travalicano gli aspetti geostrategici e assumono quelli molto più concreti del conflitto aperto. Due di questi punti focali sono così vicini al cuore dello stato che per la Russia rappresentano qualcosa di più di una contesa interstatale: la Cecenia e l’Ucraina.
Analizzando questi due paesi e i loro irrisolti conflitti con la Russia si può ritrovare tutto quanto precedentemente espresso e dare concreta applicazione dei principi guida della Russia moderna, delineando allo stesso tempo le possibili direzioni future per uno stato con grandi ambizioni e grandi problemi.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Il putinismo e il ruolo della Russia del mondo post-bipolare
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Informazioni tesi
Autore: | Francesco Castiglia |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2013-14 |
Università: | Università degli Studi di Torino |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Scienze dell'Amministrazione |
Relatore: | Anna Caffarena |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 113 |
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