Il problema del debito pubblico italiano: genesi storica e analisi di due possibili strategie per affrontarlo
La ripartizione del carico fiscale
Un altro argomento di discussione riguardante il fisco in Italia, è quello relativo al modello stesso di tassazione, ossia che cosa lo Stato sceglie di sottoporre al prelievo fiscale e in quale proporzione. Nell’autunno 2015 il governo in carica ha annunciato l’inserimento della abolizione delle tasse sulla prima casa nella manovra Finanziaria; questa misura ha suscitato perplessità soprattutto in seno alla Commissione Europea.
Secondo quest’ultima, è necessario uno spostamento del carico fiscale dal lavoro, che in Italia è relativamente alto, al patrimonio ed ai consumi, dove invece ci sono margini per aumentare il prelievo. Questo spostamento è auspicabile dal momento che le imposte sul lavoro “possono ostacolare e deprimere la domanda e l’offerta di lavoro”, e sono più distorsive e quindi più dannose per la crescita.
Ecco perché la misura del governo citata pocanzi è stata criticata dalla Commissione. In effetti, parlando delle imposte sulla proprietà immobiliare, mentre vi sono importanti costi per il trasferimento dei beni, non altrettanto si può dire per il possesso di essi, che in Italia è stato sottoposto ad una tassazione più morbida rispetto ad altri Paesi, a maggior ragione dopo l’abolizione della Tasi a partire dal 2016.
Riguardo alle imposte sui consumi, invece, la Commissione critica soprattutto l’eccessivo numero di sconti sull’Iva, che ne limitano il gettito finale. In ogni caso, a questi consigli/critiche il governo ha risposto rivendicando la totale autonomia nelle decisioni di politica fiscale, e le misure di riduzione delle tasse sul lavoro già adottate, come il cosiddetto bonus Irpef e gli interventi sull’Irap.
Aldilà delle considerazioni sulle singole misure, è innegabile che ci sia lo spazio se non la necessità di attuare una modifica strutturale del modello fiscale. Prima si è accennato alla proprietà immobiliare; l’altra grande fetta di patrimonio è quella costituita dalla ricchezza finanziaria.
Nel 2014, secondo una ricerca dell’Ufficio studi BNL riportata dal quotidiano Il Sole 24 ore, la ricchezza finanziaria privata degli italiani ammontava a quasi 4000 miliardi di euro. Sembra un paradosso se consideriamo l’entità del debito pubblico, ma a ben vedere esso è una delle cause dell’accumulazione di capitale in Italia.
La media di ricchezza pro-capite è addirittura leggermente superiore a quella dei cittadini francesi e tedeschi. Il problema è che non è equamente distribuita: il 10% della popolazione ne possiede circa la metà. Ci sarebbero quindi i margini per effettuare una manovra perequativa e che incentivi la crescita allo stesso tempo; segnatamente, si potrebbe diminuire il carico fiscale per le fasce di contribuenti più deboli, che generalmente presentano una propensione marginale al consumo più alta, e spostarlo verso il patrimonio.
Così facendo, a parità di gettito, si avrebbe probabilmente un effetto positivo sul PIL, derivante dall’incremento della componente dei consumi, e di conseguenza migliorerebbe anche il rapporto debito/PIL. Non si può tuttavia negare che una modifica al sistema fiscale di questo tipo incontrerebbe non poche resistenze ideologiche.
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Il problema del debito pubblico italiano: genesi storica e analisi di due possibili strategie per affrontarlo
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Informazioni tesi
Autore: | Simone Diosi |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2015-16 |
Università: | Università degli Studi di Roma Tor Vergata |
Facoltà: | Economia |
Corso: | Economia aziendale |
Relatore: | Paolo Paesani |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 52 |
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