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Il carcere e la funzione rieducativa: il caso dei Poli Universitari Penitenziari in Italia

La rieducazione in carcere attraverso l’istruzione

La rieducazione dei detenuti è un tema di grande importanza nella società moderna e richiede una prospettiva multidisciplinare che prenda in considerazione aspetti sociali, psicologici, economici e giuridici. In questo contesto, l'istruzione è considerata uno strumento fondamentale per la rieducazione dei detenuti, in quanto può offrire opportunità per il miglioramento delle competenze e delle conoscenze, oltre che per la crescita personale e professionale. In Italia, l'istruzione in carcere è stata oggetto di numerosi interventi normativi e iniziative istituzionali, che hanno progressivamente ampliato l'offerta formativa e migliorato le condizioni di accesso, come evidenziato nel capitolo precedente. La funzione rieducativa della pena trova il suo riconoscimento all’interno della Costituzione Italiana, al 3° comma dell’articolo 27, il quale afferma che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere ala rieducazione del condannato”. Questa prospettiva si basa sulla convinzione che sia possibile rieducare le persone detenute, anche se si trovano in un contesto principalmente punitivo, attraverso l'utilizzo di metodi di reazione al crimine che non siano solo negativi e che richiedono la disponibilità della società a ristabilire un rapporto di fiducia con coloro che hanno violato la legge. La risocializzazione richiede quindi che le modalità utilizzate per il reinserimento del detenuto nella società non contraddicano i principi che il sistema di giustizia penale vuole promuovere, ma piuttosto sostengano il condannato in vista della sua futura reintegrazione nella comunità. In altre parole, la rieducazione e la risocializzazione dovrebbero essere un'opportunità per il detenuto di imparare da ciò che ha fatto e di ricostruire la propria vita in modo positivo. E’ su questo principio che è stato sviluppato l’Ordinamento Penitenziario Italiano del 1975, ponendo al centro la figura del detenuto. Al comma 6 dell’articolo 1 si dispone che “nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con il mondo esterno, al reinserimento sociale degli stessi.

Attualmente il nostro Ordinamento configura l’istruzione come “uno degli interventi che l’Amministrazione Penitenziaria è tenuta ad offrire, dando ai detenuti libertà di scelta e prevedendo una serie di incentivi per sollecitare la partecipazione dei ristretti alle attività di istruzione.” L'istruzione rappresenta un importante strumento di rieducazione in carcere, in quanto consente ai detenuti di riconsiderare la propria realtà e di acquisire gli strumenti necessari per ripensare le proprie azioni. Inoltre, può essere il punto di partenza per promuovere una nuova cultura della pena e rieducare l'intera collettività. Le iniziative didattiche offerte in carcere hanno il potere di conferire un senso alla detenzione, aiutando i detenuti a conseguire un titolo di studio, a scoprire nuovi contenuti e ad aprirsi alla riflessione. Inoltre, le attività scolastiche consentono la contaminazione tra l'interno e l'esterno, tra il detenuto e l'insegnante, come evidenzia la testimonianza di un’insegnante riportata qui di seguito (Friso, Decembrotto, 2018, p. 33):

"chi entra per insegnare è spesso anche inconsapevole ostaggio non solo delle proprie paure ma anche di pregiudizi consolidati da parte di persone che, se da una parte giudicano impietosamente e di incuriosiscono morbosamente alle vicende dei reclusi, soprattutto quelli “illustri”, ciclicamente riproposti dai media, poi sanno anche trasformarsi in pacati osservatori e indulgenti assolutori. Istintivamente, come è anche naturale che sia, si condanna chi sconta una pena, in quanto presumibilmente colpevole di un reato, ma si è, allo stesso tempo, anche solidali verso chi sta sperimentando la più dura della condizioni umane: la privazione della libertà. Questa scissione perenne e latente che si prova è un ulteriore elemento schizofrenico di disorientamento per il docente. Egli dovrà muoversi, come un equilibrista, tra il terreno della comprensione altrui, dell’inclusione, della motivazione, del sostengo psicologico e quello personale, intimo e inconfessabile, che spesso prende verso la condanna, si arrende a un facile giudizio, inducendolo a profonda e continua riflessione, anche circa la valenza etica, e non esclusivamente didattica, del proprio operato."

Come si evince da questa testimonianza, l’esperienza di università in carcere non è solo utile per gli studenti ma anche in direzione opposta, perché ha segnato una maggiore sensibilità dell’Università ai problemi del carcere e a ruolo che essa deve svolgere nei confronti dei detenuti. E’ in questo senso che si dovrebbe attuare quel recupero delle relazioni tra esterno e interno, tra territorio e carcere, in un percorso che permetta al detenuto di essere riconosciuto come persona con una propria dignità, bisognoso di reinserirsi nel contesto sociale. E’ importante riflettere sul valore del tempo trascorso all’interno delle mura per evitare che venga sprecato e per raggiungere l’obiettivo principale del sistema penitenziario, ovvero quella della rieducazione e della reintegrazione sociale. Spesso istruzione e educazione in carcere sono intese come mezzi per occupare i detenuti, esercitando allo stesso tempo più facilmente il controllo e il mantenimento della quiete.
L’Università è uno di quei soggetti che è chiamato ad attraversare i territori pedagogici riscontrabili all’interno del carcere, per interrogarsi su di essi e sulle loro potenzialità educative, al fine di promuovere e potenziare ogni possibile processo di formazione umana e di crescita personale, con un impatto significativo sulle traiettorie di vita di soggetti adulti.
Ma quale può essere, quindi, il senso dell’istruzione universitaria all’interno del concetto di rieducazione in carcere?
L'incontro tra due ambienti che comunemente sono ritenuti antitetici, vale a dire quello della prigione connotato dalla restrizione e quello dell'Università connotato dall'emancipazione, può risultare paradossale. Tuttavia, tale incontro può favorire l'instaurarsi di un processo formativo individuale e collettivo, nonché una rivalutazione dell'esperienza di tempo trascorso in privazione della libertà e, in alcuni casi, una riconsiderazione del proprio progetto di vita. Il nucleo dell'interazione tra carcere e Università, e il suo scopo principale, consiste nella promozione della crescita personale, sociale e culturale, che viene veicolata attraverso un insieme di competenze sia individuali che di gruppo.
L'Università può certamente sviluppare un insieme di conoscenze e competenze che possono svolgere un ruolo cruciale per le persone con esperienze di privazione della libertà, come quelle strettamente correlate al lavoro. Tuttavia, oltre a queste competenze strategiche, esistono competenze più ampie legate all'apprendimento continuo, il cui sviluppo può influenzare la qualità e il significato dell'offerta universitaria all'interno del carcere. L'Università in carcere può assumere un ruolo liberatorio all'interno di uno spazio di confinamento, dove i detenuti sono soggetti disciplinati, obbedienti all'autorità penitenziaria e vincolati a un pervasivo potere di controllo. Si tratta di una contraddizione che rappresenta una delle sfide sociali più interessanti del nostro tempo.
[…]

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Il carcere e la funzione rieducativa: il caso dei Poli Universitari Penitenziari in Italia

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Informazioni tesi

  Autore: Debora Rasoira
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2022-23
  Università: Università degli Studi di Torino
  Facoltà: Scienze dell'Educazione
  Corso: Scienze dell'educazione e della formazione
  Relatore: Paola Borgna
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 60

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