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I colori di un incontro: la dimensione pedagogica dell'esperienza arte-terapeutica nel trattamento psichiatrico residenziale

La riabilitazione psichiatrica fra progetti e attività

La riabilitazione interviene quando un problema di salute si è già sviluppato e consolidato e ha lo scopo di aiutare l’individuo a convivere meglio con sé stesso per poi transitare verso la eventuale riconquista di un equilibrio perduto.
Parlare di riabilitazione in psichiatria significa entrare in un campo estremamente dinamico, all’interno del quale sono presenti diverse modalità teoriche di approccio al paziente e modelli applicativi diversificati. Esiste però una teoria di base, la teoria della disabilità che rappresenta il connettivo fondante di ogni modello e di ogni prassi operativa; tale teoria è frutto dell’integrazione tra assunti teorici della disabilità fisica e quelli della psicologia sociale. Infatti quanto è ritenuto valido nell’approccio riabilitativo ai gravi disabili fisici si adatta, con le opportune modifiche, anche alla riabilitazione dei pazienti psichiatrici: questo perché entrambi i gruppi presentano una compromissione della capacità di svolgere adeguatamente i ruoli sociali che loro competono, necessitano di prestazioni assistenziali protratte e spesso non superano completamente la loro disabilità. Va sempre sottolineato che questa viene definita in funzione della norma culturalmente condivisa e viene valutata in relazione ad un “prima” e un “dopo” cioè rapportando le caratteristiche della disabilità alle effettive competenze sociali presenti prima della sua insorgenza.
Come spiegato nel primo capitolo, l’impronta ideologico-politica, nascente negli anni ‘60, che caratterizza l’avvento dell’uso di tecniche riabilitative sostituendo il modello custodialistico, conferisce all’approccio di cura un significato nettamente nuovo; centrato sull’autonomia, sull’emancipazione, sul “portar fuori”. E’ sostanziale la differenza dall’assistenzialismo. Come lo è il porre l’accento sulla dimensione educativa che motiva e rinforza lo scostarsi dal citato atteggiamento medico-scientifico, per legittimare uno sguardo orientato anche filosoficamente nel suo prendere a cuore i nodi critici dell’approccio che potrà, nell’ottica fenomenologica, essere ripensato come un’esperienza che “congiunge e arricchisce delle diversità” invece di categorizzarle in due ruoli, in due mondi (operatori e pazienti, sani e malati).
Con Gabriella Ba (2003) riassumiamo alcuni principali modelli teorici di riferimento che fanno capo a differenti impostazioni strategiche ma convergono sugli obiettivi. In questi anni si è fatto riferimento soprattutto al Social Skills training (Liberman, Anthony, Farkas), al modello di Spivak e a quello di Ciompi. I modelli di social skills training sono modelli di derivazione comportamentale, finalizzati al rinforzo di abilità sociali quali l’autogestione, il self help, la gestione dello spazio abitativo, le attività lavorative e basati sul concetto di vulnerabilità e stress. Le social skills sono cioè abilità insegnate dopo avere evidenziato i fattori di vulnerabilità dei pazienti che, su base biologica, mostrano un maggior stress verso determinate situazioni che diverranno così oggetto di simulazione per somministrare dei rinforzi in grado di contrastare ed attenuare o vincere l’insorta disabilità. Il modello di Spivak è di ispirazione comportamentista e lavora su determinate aree di competenza con l’interesse di contrastare la cronicità. Le aree su cui i programmi sono centrati sono quelle che la spirale viziosa della desocializzazione minaccia: la competenza abitativa, lavorativa, della cura di sé, delle relazioni familiari e sociali. Il percorso riabilitativo lavora così sullo sviluppo di comportamenti socialmente competenti attraverso l’utilizzo delle quattro dimensioni sociointerazionali: il supporto finalizzato a manifestare l’accettazione del paziente; l’iniziale permissività per consentire l’espressione del comportamento deviante; la non conferma delle aspettative devianti attraverso esperienze graduali; la ricompensa dei comportamenti socializzati ridefinita per ciascun paziente nell’ambito dei suoi interessi e delle sue priorità.
Il modello di Ciompi pone come obiettivo primario il reinserimento nella vita sociale e lavorativa. Il processo terapeutico si sviluppa lungo due assi fondamentali che vengono valutati sin dall’inizio: l’asse lavoro (da nessun lavoro al lavoro normale) e l’asse casa (dal reparto psichiatrico chiuso all’abitazione non protetta). Secondo Ciompi l’esito della malattia è determinato non tanto dalla malattia o da variabili generali della persona bensì da fattori di tipo sociale, dalla rete che si struttura intorno al paziente, dalla durata dell’effettivo distacco dal mondo lavorativo, dalla motivazione della persona stessa. Non ultime per importanza sono le aspettative della famiglia, degli operatori e della persona stessa. La pratica riabilitativa va chiaramente comunicata e deve essere coerente nei suoi presupposti; i punti essenziali sono: un setting terapeutico specifico, trasparente, aperto, vicino alla comunità; uno specifico staff terapeutico, motivato e formato a calibrare gli stimoli ambientali; la garanzia di continuità terapeutica sia durante la fase acuta sia durante il trattamento riabilitativo; l’utilizzo di un basso dosaggio di neurolettici; la collaborazione dei familiari e delle altre persone significative o di riferimento con le quali deve essere elaborato un programma comune per strategie e obiettivi.

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I colori di un incontro: la dimensione pedagogica dell'esperienza arte-terapeutica nel trattamento psichiatrico residenziale

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Informazioni tesi

  Autore: Rossana Cafà
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2006-07
  Università: Università degli Studi di Milano - Bicocca
  Facoltà: Scienze della Formazione
  Corso: Scienze dell'Educazione
  Relatore: Pierangelo Barone
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 295

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Parole chiave

arte educazione
arte terapia
cura educativa
educatore psichiatrico
pedagogia
psichiatria
psichiatria fenomenologica
residenzialità
riabilitazione psichiatrica

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