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La condotta antisindacale nelle pubbliche amministrazioni

La repressione della condotta antisindacale nel pubblico impiego

Abbiamo potuto costatare le straordinarie difficoltà ermeneutiche ed applicative dell'art. 28 dello Statuto dei lavoratori per il comportamento antisindacale posto in essere dalle p.a., condizionate anche dal graduale processo di privatizzazione dell'impiego pubblico.
Nel periodo precedente la contrattualizzazione, l'art. 37 St. lav. estendeva l'applicazione di tutte le disposizioni statutarie (quindi anche dell'art. 28), agli enti pubblici economici; inoltre, per quelli non economici, la norma sulla condotta antisindacale si applicava unicamente per la lesione dei diritti sindacali in senso stretto, restando esclusi i diritti sindacali c.d. consequenziali a comportamenti plurioffensivi dell'amministrazione.
Fra la fine degli anni '70 e la fine degli anni '80, com'è noto, il problema della tutela dei diritti sindacali nei confronti della pubblica amministrazione vide un'evoluzione giurisprudenziale.
Il tentativo di tracciare i rapporti tra le due disposizioni statutarie (art. 28 ed art. 37) diede, infatti, origine ad una serie di distinzioni operate dalla giurisprudenza su diversi piani: il piano interno, trasversale al concetto di pubblica amministrazione, secondo cui si doveva distinguere tra Stato ed enti pubblici nonché tra enti pubblici non economici ed economici; il piano esterno, relativo al contenuto dell'atto o alle ricadute del comportamento ovvero al tipo di diritto leso, per cui la distinzione doveva essere operata tra lesione di diritti ed interessi del sindacato in senso stretto e lesione di diritti ed interessi connessi a posizioni individuali del singolo lavoratore, con effetti indiretti antisindacali.
La Corte di Cassazione, con diverse decisioni riguardo alla possibilità che anche le associazioni sindacali nel pubblico impiego fossero titolari dei diritti soggettivi di libertà e di attività sindacali riconosciute dagli artt. 39 e 40 Cost. e che tali diritti fossero tutelabili in via giudiziaria, ha contribuito a delineare quell'articolata posizione, sempre ribadita fino all'avvio del processo di privatizzazione.
Le pronunce in questione hanno sancito una tripartizione di situazioni per cui:

a) posta la preclusione dell'accesso all'art. 28 St. lav. nel settore del pubblico impiego statale, qualora fosse risultata la violazione di diritti del sindacato in senso stretto, poteva affermarsi tutt'al più la giurisdizione del giudice ordinario, ma nelle forme comuni, e certamente al di fuori dello speciale procedimento di cui all'art. 28;

b) nel settore degli enti pubblici non economici sussisteva l'applicabilità della disposizione statutaria, sia pure limitatamente alle lesioni di diritti del sindacato in senso stretto, mentre per le lesioni di diritti individuali del dipendente veniva riaffermata la giurisdizione del giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva;

c) nel settore degli enti pubblici economici si applicava, più che l'art. 28, direttamente l'art. 37 St. Lav., che unificava le posizioni dei dipendenti da tali enti con quelle dei dipendenti privati.

In primo luogo era sancita la completa parificazione tra amministrazioni statali ed enti pubblici non economici, quanto all'accesso alla tutela prevista dal citato art. 28, con ciò realizzandosi una parificazione non solo fra le associazioni sindacali dei differenti settori pubblici, ma anche fra queste e le associazioni delle categorie private; in secondo luogo, la sostituzione del criterio della causa petendi con quello del petitum.
La costante giurisprudenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha precisato che in base agli ultimi due commi dell'art. 28 L. 20 maggio 1970 n. 300 (sempre quelli introdotti con l'art. 6 della legge 12 giugno 1990, n. 146), la giurisdizione in materia di comportamento antisindacale dello Stato o di altro ente pubblico non economico appartiene al giudice ordinario sia nel caso di violazione d'interessi propri ed esclusivi del sindacato (cosiddetti diritti sindacali in senso stretto) sia nel caso che detto comportamento presenti carattere plurioffensivo, in quanto, pur incidendo direttamente sulla posizione del singolo dipendente, venga ad interferire anche nella sfera giuridica del sindacato con lesione di suoi diritti strettamente collegati a quelli del dipendente (cosiddetti diritti sindacali connessi o correlati).
Ma in quest'ultima ipotesi, la giurisdizione del giudice ordinario sussiste solo a condizione che non sia contemporaneamente richiesta la rimozione del provvedimento amministrativo lesivo della situazione soggettiva del pubblico dipendente.
Qualora tale rimozione venga espressamente richiesta, infatti, la relativa controversia appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
A tale ipotesi va equiparata quella in cui l'unica manifestazione di comportamento antisindacale dedotto in giudizio consiste nell'adozione di provvedimenti che incidono direttamente anche nella posizione soggettiva del pubblico dipendente, oltre che nella sfera giuridica del sindacato.
Nel frattempo, la legge di modifica della disciplina dello sciopero nei servizi pubblici essenziali (L. n. 83/2000) ha abrogato nuovamente gli ultimi due commi dell'art. 28, elidendo ogni esplicito riferimento alla ricordata distinzione tra diritti sindacali in senso stretto e diritti sindacali consequenziali.
In merito è stato sostenuto che con la L. n. 83/2000 sarebbe, di fatto, divenuto inutile distinguere tra comportamento unioffensivo e plurioffensivo, tra pronunzie di condanna e di mero accertamento, tra rapporti contrattualizzati e non.
Avviato il processo di privatizzazione, l'attuale formulazione dell'art. 63 del D.lgs. n. 165 del 2001 prevede che siano devolute al giudice ordinario "le controversie relative a comportamenti antisindacali delle pubbliche amministrazioni", senza operare alcuna distinzione.
Pertanto, il fatto che la fattispecie si configuri come plurioffensiva non vale più a precludere la giurisdizione del giudice ordinario, che, peraltro, non si arresta nemmeno di fronte alla domanda di rimozione dei provvedimenti incidenti sul rapporto individuale di lavoro, utilizzato come criterio di riparto dalla Legge n. 146/1990.
Nel nuovo sistema, in effetti, anche l'atto antisindacale del datore di lavoro pubblico avrebbe la connotazione di atto privatistico, omologo a quello scorretto del datore di lavoro privato e come tale suscettibile di cognizione da parte del giudice ordinario, anche laddove venga richiesta l'eliminazione dell'atto stesso e dei suoi effetti.
Al momento, dunque, le controversie con le quali si denunzi una condotta antisindacale dello Stato o di altre pubbliche amministrazioni appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario sia quando il comportamento integri una violazione di interessi propri ed esclusivi del sindacato (c.d. diritti sindacali in senso stretto), sia quando tale comportamento interferisca nella sfera del sindacato con la lesione di diritti strettamente collegati con quelli del dipendente (c.d. diritti sindacali connessi).
In tal modo, il legislatore ha fornito, per quanto attiene alla questione di giurisdizione, un importante e chiaro segnale di una certa "contiguità" tra pubblico e privato, attribuendo al giudice ordinario non solo le controversie individuali, ma anche quelle "collettive".

Questo brano è tratto dalla tesi:

La condotta antisindacale nelle pubbliche amministrazioni

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Informazioni tesi

  Autore: Antonino Cintorino
  Tipo: Tesi di Master
Master in Master II livello in Diritto del Lavoro nelle pubbliche amministrazioni
Anno: 2011
Docente/Relatore: Gargiulo Umberto
Istituito da: Università degli Studi di Catanzaro Magna Grecia
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 43

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