La Geschichtsphilosophie di Georg Simmel: un inquadramento storico-biografico
La questione dell’identità in Georg Simmel
Nei paragrafi precedenti abbiamo affrontato come il fatto di essere considerato come un ebreo abbia influenzato la carriera accademica di Simmel. La questione che ora viene posta riguarda ora l’identità, o meglio l’influsso di questi stereotipi sull’identità, ai fini di introdurre in seguito il ragionamento riguardante l’evoluzione della sua filosofia della storia. Dalle fonti esaminate emergono aspetti contrastanti. Hans Liebeschütz descrive come Simmel fosse stato battezzato in tenera età dai genitori, i quali convertiti anch’essi al cristianesimo protestante, consideravano il giudaismo come una cosa del passato.
Secondo l’autore in Simmel non si trova nessuna consapevolezza di un’appartenenza alla tradizione giudaica. L’autore definisce questo come il risultato di un processo di adattamento all’ambiente che, a partire da Moses Mendelsohn, aveva raggiunto conseguenze estreme. Sulla base di questa conclusione Liebeschütz analizza la possibilità di una forma mentis ebraica solo sulla base delle scelte intellettuali che Simmel compie.
Tuttavia, se consideriamo ciò che invece K. C. Köhnke riporta nella sua monografia, emerge un ritratto leggermente diverso; egli cita tra le memorie di Martin Buber un’affermazione da cui emerge l’atteggiamento di Simmel verso il giudaismo, dal quale possono essere tratte conclusioni affascinanti, lievemente in contrasto con quelle che era possibile trarre in precedenza:
Als 1906 sein erstes Buch Die Geschichten des Rabbi Nachman erschien, habe Simmel die Einleitung gelesen […] und gesagt: -Wir sind doch ein merkwürdiges Volk- Das sei das einzige Mal gewesen, daß er, Buber, dieses Pronomen –wir- von Simmel gehört habe. […] Ohne je mit orthodoxen Juden in näherer Berührung gestanden zu sein, hatte Simmel doch jüdische Denkformen und Handbewegungen, -Man könnte aber auch von den gleichen Voraussetzungen zu einem entgegengesetzten Ergebnis kommen- konnte er im Kolleg sagen: das ist der talmudische Pilpul88. Dabei streckte er die Handflächen aus. In einem Gespräch habe Simmel das jüdische Prinzip bejaht als Prinzip des Immer-wieder-Aufsprengens von scheinbaren Selbstverständlichkeiten, dagegen habe er nicht einsehen wollen, daß, wie Buber ihm entgegenhielt, dieses Prinzip auch einer biologischen Grundlage bedürfe1
Benché un tale commento sia un’eccezione per Simmel, da queste parole emerge in ogni caso la consapevolezza di un’inevitabile appartenenza al popolo ebraico. Seguendo le riflessioni di questi due autori, Liebeschütz e Köhnke, saranno seguite in questo paragrafo due percorsi differenti ma complementari. Inizialmente viene svolto un discorso generale sull’identità degli ebrei assimilati nella Germania di fine secolo, seguito da una riflessione sulla comparsa del sionismo e sulla posizione di Simmel nei confronti di questo; ciò che ne emerge è il profilo di un ebreo assimilato. Nel secondo percorso invece, si cercherà da un lato di vedere come le sue origini o la sua “forma” influenzino alcune delle sue opere. Dall’altra parte, prendendo come punto di partenza il principio ebraico descritto da Simmel, si cerca di capire il suo significato più profondo, specialmente in termini intellettuali.
Per affrontare un discorso sull’identità di Simmel ed in generale sull’identità di quegli ebrei che si erano stabiliti in Germania da almeno una o due generazioni, dobbiamo vedere a che livello si trovava il suo status sociale. Ciò che sappiamo da Michael Landmann90 rispetto al retroterra familiare è che Simmel era il settimo figlio di genitori ebrei convertiti al cristianesimo, suo padre al cattolicesimo e sua madre all’evangelismo sulla base del quale era stata educata e cresciuta.
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1 «Quando la sua prima opera Die Geschichten des Rabbi Nachman fu pubblicata nel 1906, Simmel lesse l’introduzione e disse: -Noi siamo una strana nazione-. Questa fu la prima volta che Buber sentì Simmel pronunciare il pronome –noi-. Il modo di pensare di Simmel e la sua gestualità erano ebree, benché egli non sia mai stato a diretto contatto con l’Ebraismo ortodosso. -Ma si può sempre arrivare a conclusioni completamente differenti-, poteva dire all’università: questo è il Pilpul talmudico. Ed egli avrebbe disteso i palmi della mano. In una conversazione egli definì il principio giudaico come il principio dell’Immer-wieder-Aufsprengen von scheinbaren Selbstverständlichkeiten (l’esplosione costante dell’ovvio e del visibile). Ma ciò che non voleva vedere e ciò che Buber gli contestava è il fatto che un tale principio richieda anche basi biologiche». (K. C. Köhnke, "Der junge Simmel in Theoriebeziehungen und sozialen Bewegungen")
Questo brano è tratto dalla tesi:
La Geschichtsphilosophie di Georg Simmel: un inquadramento storico-biografico
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Informazioni tesi
Autore: | Francesca Borsari |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2011-12 |
Università: | Università degli Studi di Bologna |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Storia |
Relatore: | Francesca Sofia |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 159 |
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