La tutela della privacy in Internet
La pubblicazione online dei redditi dei contribuenti italiani
Un episodio concreto e attuale di violazione della privacy attuata attraverso il mezzo informatico è senza dubbio costituito dalla pubblicazione in Internet delle dichiarazioni dei redditi dei circa trentotto milioni di contribuenti italiani.
L’Agenzia delle entrate, presieduta dal direttore generale Massimo Romano, nel marzo del 2008 ha deciso di pubblicare sul proprio sito Internet (...) i contenuti delle dichiarazioni dei redditi dei contribuenti italiani dell’anno 2005.
Una iniziativa autonoma, quella dell’Agenzia delle entrate, attuata senza richiedere l’autorizzazione al Garante per la protezione dei dati personali. Per questo motivo, soltanto poche ore dopo la pubblicazione online dei redditi degli italiani, il Garante ha ordinato all’Agenzia delle entrate di cancellare gli elenchi dei contribuenti e delle loro dichiarazioni dei redditi .
La pronuncia del Garante rende l’idea della complessità dell’argomento, probabilmente sottovalutata dall’Agenzia: il solo art. 69 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, invocato dall’Agenzia a causa legittimante della pubblicazione, non è per l’Autorità sufficiente a giustificarne le modalità.
Il Garante ha infatti sottolineato come l’art. 69 del d.P.R. 600/1973 preveda il deposito degli elenchi, per la durata di un anno, sia presso l’ufficio dell’amministrazione finanziaria, sia presso i comuni interessati: la disposizione non contempla la pubblicazione online, e questo secondo il Garante è sufficiente per giustificare la non conformità della pubblicazione alla normativa di settore. Per questo, servendosi di quanto previsto dall’art. 154, co.1 l. d) del Codice, il Garante invita l’Agenzia delle entrate a sospendere la pubblicazione degli elenchi dei contribuenti tramite il sito (...).
La Procura di Roma nel mese di maggio ha iscritto nel registro degli indagati il direttore Romano, con l’ipotesi di reato di violazione dell’art. 167 del Codice; del resto, il Codacons, la più famosa associazione dei consumatori in Italia, ha persino chiesto all’Agenzia delle entrate un risarcimento di 20 miliardi di euro, approssimativamente 520 euro per ciascuno dei 38 milioni di contribuenti residenti in Italia.
Il punto focale della questione è quello della differenza tra la mera pubblicazione su carta dell' elenco dei redditi e quella via Internet. Su questo aspetto il Garante segna un importante solco giuridico spiegando che «l' inserimento dei dati su Internet, appare di per sé non proporzionato rispetto alla finalità della conoscibilità di questi dati» .
Il Garante sottolinea proprio la differenza sostanziale fra Internet e la carta stampata. Infatti, secondo l’Autorità presieduta da Francesco Pizzetti, l' uso di uno strumento come Internet rende indispensabili «rigorose garanzie per i cittadini». Invece nel caso di specie, continua il Garante, i dati sono stati immessi senza filtri, in modo generalizzato e non protetto. Con la conseguenza che la «centralizzazione della consultazione» ha consentito in poche ore, a numerosissimi utenti, in tutto il mondo, di fare copie, formare archivi, creare liste di «profilazione» e di dilatare senza limiti il periodo di conoscenza che la legge invece stabilisce per un anno .
La pubblicazione dei redditi è stata ed è tuttora un argomento di dibattito socio-politico di dimensioni notevoli: chi ha difeso la scelta dell’Agenzia delle entrate ha invocato esigenze di trasparenza e pubblicità, disconoscendo il carattere riservato della dichiarazione dei redditi, che costituirebbero invece “dati pubblici”. Il d.lgs. 82/2005, Codice dell’Amministrazione digitale, in molte disposizioni prevede che le Pubbliche Amministrazioni debbano, e non semplicemente possano, mettere a disposizione dei cittadini i dati pubblici da esse detenuti . I sostenitori dell’astratta legittimità del comportamento dell’Agenzia certo rimproverano ad essa la leggerezza nello stabilire le modalità di pubblicazione dei redditi, ma ritengono che l’errore non sia consistito nella scelta dello strumento telematico e che, anzi, i dati in questione debbano essere conoscibili attraverso tale strumento, «benché, probabilmente, non in maniera “centralizzata” ed a cura dell’Agenzia ma in maniera decentralizzata ed a cura delle singole amministrazioni periferiche (uffici delle imposte e comuni) individuate dall’art. 69 del d.P.R. 600/1973» .
D’altra parte, c’è chi parla dei redditi online come di una «colonna infame»: balzata agli onori della cronaca l’accesa protesta del comico Beppe Grillo, che tra l’altro ha messo in evidenza i rischi più prettamente penalistici della pubblicazione, che consentirebbe a rapinatori, estorsori e malviventi in generale di non dover più indagare sulle vittime delle loro malefatte, ma di poter andare «a colpo sicuro»; «il rapporto fiscale è tra il privato cittadino e lo Stato e tale deve rimanere» .
Un problema strettamente collegato alla pubblicazione dei redditi è costituito dalla loro permanenza in Internet, nonostante la cancellazione dal sito dell’Agenzia. Infatti, numerosi providers Internet, prima che intervenisse lo stop del Garante, hanno copiato i dati in questione, trasferendoli su propri server per la consultazione; inoltre, i ‘fortunati’ che sono riusciti a consultare il sito dell’Agenzia prima che i dati venissero cancellati hanno copiato gli elenchi, condividendoli con programmi peer to peer, causando in tal modo una diffusione ancor più capillare delle dichiarazioni dei redditi. Per contrastare questa eventualità il Garante richiede che «coloro che hanno ottenuto i dati dei contribuenti provenienti, anche indirettamente, dal menzionato sito Internet, non possono metterli ulteriormente in circolazione, (…) considerato che tale ulteriore loro messa in circolazione - in particolare mediante reti telematiche o altri supporti informatici - configura un fatto illecito che, ricorrendo determinate circostanze, può avere anche natura di reato».
Tuttavia, il diritto all’oblio che si vuole preservare in questi casi risulta evidentemente sacrificato: proprio il fatto che gli elenchi dei contribuenti siano finite in così tante mani, rende pressappoco impraticabile la cancellazione o la messa in anonimato dei dati retributivi degli italiani; a temperare la serietà di queste conseguenze, il Garante ha comunque inibito all’Agenzia delle entrate di pubblicare i redditi degli anni successivi al 2005.
In definitiva, l’impostazione seguita dal Garante può ritenersi corretta in virtù di alcune considerazioni incontestabili: il reddito di un soggetto è da considerarsi senza dubbio espressione di dati personali, come definiti dal Codice . Acquisito questo dato, va contestata all'Agenzia l'assenza di un'idonea e preventiva informativa ai contribuenti interessati, ex art. 13 del Codice: nella dichiarazione dei redditi dell’anno 2005, ai contribuenti italiani sarebbe al limite dovuta spettare la scelta circa l’autorizzazione o meno alla pubblicazione del proprio reddito online, cosa che invece non è avvenuta. I contribuenti, pertanto, possono richiedere il risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. 196/03, che stabilisce che “chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento ai sensi dell'articolo 2050 del codice civile”.
Questo brano è tratto dalla tesi:
La tutela della privacy in Internet
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Informazioni tesi
Autore: | Antonio Ernesto La Canna |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2007-08 |
Università: | Seconda Università degli Studi di Napoli |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Roberta Catalano |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 107 |
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