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Le Incursioni Saracene Nell'Italia Bizantina

La perdita della Sicilia e la spedizione militare di Ibrahim II

Superato il periodo eroico del jihad, in Sicilia, il rappresentante dell'emiro di Qayrawan in Sicilia, non era più un semplice generale, capo di una spedizione, ma cominciava ad acquisire funzioni di governatore. La sua autorità si esplicava su tutti gli abitanti dell'isola: un vero e proprio mosaico di razze e di religioni diverse. Da un lato c'erano i musulmani, dalle origini etniche più disperate: arabi, berberi, spagnoli, locali convertiti; dall'altro i dhimmi, ossia i locali non convertitisi all'islam i quali, in cambio del pagamento di un tributo annuo fisso, avevano avuto salva la vita e le proprietà, conservando libertà di religione e di culto. I dhimmi naturalmente erano più numerosi e presto riuscirono a causare diverse ribellioni e rivolte. Essi erano notabili locali, funzionari, proprietari terrieri, contadini e commercianti. Anche tra i musulmani c'erano i malcontenti; infatti l'elemento berbero, più numeroso in Sicilia, mal sopportava l'elemento arabo (era così, sia in Sicilia che in Ifriqiya). Secondo Amari i berberi erano in collusione con i bizantini dell'isola ai danni degli arabi e dunque l'incompatibilità fra le due razze si riproponeva sull'isola oltre che in terra madre. Intanto le forze bizantine rimaste sull'isola si erano rinchiuse tutte nella capitale, Siracusa, che resisteva agli attacchi saraceni da anni. Era il maggio dell'878, quando la capitale Siracusa, antichissima e nobile città, cadde in potere del nemico. Così le forze bizantine, persa Siracusa, si rifugiarono nella fortezza di Taormina, contro cui i musulmani avevano già tentato di operare azioni di disturbo senza riportare successi definitivi. Resistevano ancora in Sicilia, oltre alla fortezza di Taormina, le città di Rametta e di Catania. Altre rivolte scoppiarono tra berberi e arabi e portarono ad una guerra civile che durò circa dieci anni. Intanto i Saraceni del continente continuavano ad attaccare la Campania dalla loro inespugnabile colonia del Garigliano. Mentre la Campania subiva di anno in anno le continue scorrerie saracene, la Calabria, era sicura poiché con gli Arabi di Sicilia si era raggiunta una tregua. Questa era la situazione quando salì al potere come emiro di Ifriqyia, l'aglabita Abu Ishaq Ibrahim II (875-902). Egli, ben presto si rivelò il terrore dei cristiani, sia greci che latini.
L'emiro di Qayrawan, dopo aver infranto la potenza della nobiltà araba, affogate nel sangue parecchie rivolte e castigati ferocemente i suoi vassalli turbolenti di Sicilia, incaricò suo figlio Abd-Allah di andare a sottomettere gli insorti di Palermo e di riprendere la guerra santa contro i Cristiani. L'esercito africano sbarcò a Mazara nei primi di agosto, occupando subito Palermo, creando panico tra la popolazione greca che si rifugiò a Taormina. Intanto i Greci concentrarono truppe all'estremità della Calabria, onde portar soccorso ai Cristiani dell'isola.
Nel 901 Abd-Allah venne ad assediare Reggio e mise a sacco la città, facendo sfuggire le milizie bizantine. Le città vicine, per prevenire un assalto, si affrettarono ad offrire un'indennità di guerra. Durante questo tempo una flotta bizantina arrivò a Messina e Abd-Allah ripassò lo stretto e riuscì ad impadronirsi di trecento navi greche. Abd-Allah distrusse le mura della città di Messina, in modo da non dare asilo agli imperiali. Abd-Allah malgrado le diverse vittorie ottenute, non aveva realizzato i suoi propositi di unire la Sicilia alla Calabria. Non era ciò che voleva l'emiro Ibrahim, partigiano fanatico della guerra, che decise di scendere in campo di persona e per farlo era pronto a rinunciare al potere. Infatti, Ibrahim II abdicò in favore del figlio, e sbarcò in Sicilia per intraprendere la guerra santa. Sbarcò in Sicilia ed assediò da subito Taormina, ultima roccaforte bizantina dell'isola. Era l'agosto del 902, quando Taormina cadde dopo diversi mesi di eroica resistenza. Gli Arabi misero a fuoco la città, massacrarono una gran parte della popolazione e inseguirono i fuggiaschi che si riversarono in Calabria.
Ibrahim passò lo stretto di Messina, con tutto l'esercito, e inseguì i Cristiani con tanta ferocia. La sua marcia fu veloce e inarrestabile, infatti tutte le città che incontrò sulla sua strada, preferirono pagargli forti tributi per non far la fine dei Greci di Taormina. Seminò il panico ovunque, e l'eco della sua spedizione arrivò, da subito, fino a Napoli e poi a Roma. Il suo intento, infatti, era di muovere contro i centri della cristianità: salendo dalla Calabria, avrebbe preso Napoli e Roma, e infine, il grande desiderio era arrivare a Costantinopoli. Per quanto velleitario e avventato il sogno di arrivare a Costantinopoli, l'obiettivo di Ibrahim di arrivare a Roma era realistico, essendo stata già raggiunta da altri suoi corregionali ed essendo possibile una sua congiunzione con i vari gruppi di Saraceni ancora presenti nel Mezzogiorno. La sua marcia proseguì velocemente e i nuovi rinforzi mandati da Costantinopoli non ebbero tempo di arrivare, così alcuni principi scesero in Calabria per trattare con Ibrahim, ma furono tutti respinti.
L'esercito finalmente si arrestò e si accampò verso la fine di settembre del 902 vicino Cosenza. La città fu stretta d'assedio: gli abitanti di Cosenza si chiusero nelle mura e prepararono la difesa. Jules Gay riferisce che, i cosentini avevano viveri sufficienti a lasciarsi bloccare dall'esercito assediante e prepararsi per una lunga resistenza. […]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Le Incursioni Saracene Nell'Italia Bizantina

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Informazioni tesi

  Autore: Francesco Liperoti
  Tipo: Diploma di Laurea
  Anno: 2013-14
  Università: Università degli Studi della Calabria
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Storia
  Relatore: Filippo Burgarella
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 88

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