Leopardi e la noia
La noia tra dolore, conoscenza e suicidio
La noia è strettamente correlata alla teoria leopardiana del piacere: infatti, come scrive Leopardi, "la noia non è altro che una mancanza del piacere che è l'elemento della nostra esistenza, e di cosa che ci distragga dal desiderarlo. Se non fosse la tendenza imperiosa dell'uomo al piacere sotto qualunque forma, la noia non esisterebbe". Una mancanza di piacere, ma non un dolore: la noia non è "nessun male né dolore particolare ma la semplice vita pienamente sentita, provata, conosciuta, pienamente presente all'individuo, ed occupantelo"; inoltre, "anche il dolore che nasce dalla noia e dal sentimento della vanità delle cose è più tollerabile assai che la noia stessa". Se dalla noia e dal sentimento della vanità può nascere dolore, con quale gradazione emotiva può esser definita la noia? Il tedio non è costituito altro che da pena e dispiacere. Ben diverso è il dolore: "le cose indifferenti, cioè non beni e non mali, sono cagioni di noia per se e non distruggono l'uniformità, così vivamente e pienamente come fanno, e soli possono fare, i mali". Il raffronto tra dolore e noia non può fare a meno di richiamare alla mente la famosa massima di Schopenhauer La vita è un pendolo che oscilla incessantemente tra il dolore e la noia e di attuare un parallelo tra il filosofo tedesco e il poeta italiano. Le affinità tra i due furono già esaminate da Francesco de Sanctis nel 1858 che scrisse: "Leopardi e Schopenhauer sono una cosa. Quasi nello stesso tempo l'uno creava la metafisica e l'altro la poesia del dolore. Leopardi vedeva il mondo così, e non sapeva il perché. Il perché l'ha trovato Schopenhauer con la scoperta del Wille". Eppure, nonostante alcuni concetti comuni ad entrambi e nonostante la simpatia del tedesco per il "fratello spirituale italiano" Leopardi, le conclusioni filosofiche a cui approdano sono completamente diverse. La noluntas schopenhaueriana conduce dinanzi al Nulla che però non è il Nulla assoluto, bensì il nulla relativo che conduce l'individuo alla pienezza suprema dell'Essere, cioè nella condizione indicata dai mistici di tutti i tempi. Leopardi invece volta le spalle a qualsiasi piano mistico-teologico-metafisico e il Nulla che avverte Leopardi è assoluta negatività: tutto ciò che esiste è l'illusione di esistere.
Appare logico, giunti a questo punto, legare al concetto di dolore anche quello di morte e, in particolare, quello di suicidio inteso come suprema liberazione del dolore dell'esistenza, soluzione all'enigma umano non contemplata da Schopenhauer e alla quale quest'ultimo aveva preferito l'elevazione spirituale.
Il materialismo è di per sé una filosofia semplicistica. Deludente per quanto afferma, è almeno efficace per quanto nega, dato che ogni negazione è una via verso la liberazione. Questa Weltanschauung contagiosa ed elementare ha il merito di costituire una versione dell'esperienza del Nulla, la più nobile di tutte le esperienze. "Rivelazione" sarebbe in verità la parola giusta, perché essa conduce alla desolazione o al nirvana, soli esiti possibili se si è toccato il fondo di tutto. Invidiamo coloro che hanno trovato la liberazione e la pace, ma restiamo con chi non ha incontrato né l'una né l'altra. Dove risiede il vero: nell'appello del Buddha o nell'apologia del suicidio fatta da Porfirio alle prese con Plotinio? A ben riflettere, entrambi invitano alla rinuncia. Nessuna soluzione, dunque, se non al di fuori dell'esistenza. Si può anche andare più lontano: rifiutare l'idea di soluzione, affondare sempre più nell'impasse capitale che annulla tutte le domande e tutte le risposte – e che si chiama noia.
Le parole del filosofo e saggista Cioran inquadrano bene il nichilismo a cui approda Leopardi, anticipatore delle correnti esistenzialiste moderne.
Il suicidio è frutto dell'era moderna dato che "non si è mai letto di nessun antico che si sia ucciso per noia della vita, laddove si legge di molti moderni. Gli antichi celti e gli altri antichi si uccidevano per disperazioni nate da passioni e sventure, non mai considerate come inevitabili e necessarie assolutamente all'uomo, ma come proprie dell'individuo, perciò disgraziato e infelice, e disperantesi. La disperazione e scoraggimento della vita in genere, l'odio della vita come vita umana, non come individualmente e accidentalmente infelice, la miseria destinata e inevitabile alla nostra specie, la nullità e noia inerente ed essenziale alla nostra vita, insomma l'idea che la vita nostra per se stessa non sia un bene, ma un peso e un male, non è mai entrata in intelletto antico né in intelletto umano avanti questi ultimi secoli. Anzi gli antichi si uccidevano o disperavano appunto per l'opinione e la persuasione di non potere, a causa di sventure individuali, conseguire e godere quei beni ch'essi stimavano ch'esistessero".
Questo brano è tratto dalla tesi:
Leopardi e la noia
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Informazioni tesi
Autore: | Ilaria Tartaglione |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2012-13 |
Università: | Università degli Studi di Napoli |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Lettere moderne |
Relatore: | Giovanni Maffei |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 32 |
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