Le indagini preliminari: tra ragionevole durata e completezza investigativa
La natura giuridica del principio della ragionevole durata del processo: titolarità e decorso del tempo
Non è più procrastinabile l’analisi volta a lumeggiare la consistenza della natura giuridica del principio della ragionevole durata del processo.
In prima facie, occorre evidenziare che a differenza del right to a speedy trial anglosassone che è precipuamente volto a garantire la posizione dell’accusato, atteso che la dilatazione dei tempi processuali determina in maniera direttamente proporzionale una riduzione delle possibilità defensionali, nel nostro sistema ordinamentale il principio in discussione, lungi dall’avere una direzione unilaterale, deve necessariamente esser considerato in una triplice declinazione: quella dell’accusato, quella della vittima e quella dello Stato-apparato.
Per quanto concerne l’accusato, il principio della délai raisonnable mira ad evitare che lo stesso sia compresso nella “morsa” della giustizia penale per troppo a lungo. Spesso, soprattutto per mezzo di deprecabili distorsioni di matrice culturale, al recepimento di una semplice informazione di garanzia ex art. 369 c.p.p. segue un consistente armamentario di stigma sociale che va ad incidere, in modo significativamente negativo, nella sfera esistenziale della persona. Dunque, atteso che lo status di indagato è in re ipsa fonte di sofferenza, si rende necessario che il procedimento volto ad accertare la penale responsabilità, si esplichi nel più breve tempo possibile. Lungi da questa trattazione sfociare in una valutazione socio - politica (la quale è certamente satura di populismo giustizialista), nel voler restare nell’ambito giuridico del de iure condito, non può non essere evidenziata l’assoluta inadeguatezza dell’art. 114 c.p.p. - e del conseguente art. 684 c.p. - ad arginare il fenomeno della divulgazione di atti processuali coperti da segreto, mortificando, dunque, la segretezza di cui all’art. 111, comma 3 e art. 329 c.p.p.
Non è intrisa di minor sofferenza la posizione della persona offesa dal reato. L’eccessivo decorso del tempo, infatti, ben potrebbe andare a frustrare le aspettative di giustizia e quelle risarcitorie, allorché si sia optato per la costituzione di parte civile.
Particolarmente degradante, però, è anche la posizione dello Stato-apparato il quale assiste ad una macchina giurisdizionale che, inesorabilmente, rischia di girare a vuoto, con un conseguente sciagurato depauperamento di risorse e di uomini.
Insomma, in caso di irragionevole durata dei tempi processuali, non è dato scorgere vincitori ma solo vinti, in uno scenario di polvere e rimpianti.
Chiarito questo aspetto preliminare, per cogliere la consistenza della natura giuridica del principio in discussione si rende necessario porre in essere un raffronto tra la disposizione di cui all’art. 111, comma 2, seconda parte della Costituzione (“la legge ne assicura la ragionevole durata”) e quella di cui all’art. 6 § 1, prima parte della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole”).
Dalla struttura semantica di tali disposizioni emerge che il principio della ragionevole durata del processo, nella Carta Costituzionale, assume un tenore in termini oggettivi atteso che si riferisce al processo, mentre, di converso, il principio riferibile alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, una assume connotazione soggettiva nella misura in cui si riferisce alla persona.
Sulla scorta di tale constatazione, si è andata a delineare, in dottrina come in giurisprudenza, una distinzione tra garanzie oggettive e garanzie soggettive del giusto processo.
Nel novero delle garanzie oggettive devono essere ascritte quelle prescrizioni aventi natura programmatica, come ad esempio, quelle attinenti al divieto di istituire giudici speciali o straordinari, quelle relative all’indipendenza ed autonomia della magistratura, quella concernente la presunzione di non colpevolezza e via discorrendo. In tale cerchia, rientrerebbe anche il principio della ragionevole durata del processo, il quale, dunque, si limiterebbe a fissare il dover essere che il legislatore dovrebbe perseguire in virtù della riserva di legge. Attraverso questa chiave di lettura, la prescrizione costituzionale non sarebbe costitutiva di un diritto immediatamente “azionabile”. In tale solco interpretativo si va a collocare una ordinanza della Consulta, la quale evidenzia che “il legislatore, nel regolare il funzionamento del processo, dispone di ampia discrezionalità, sicché le scelte concretamente compiute sono sindacabili soltanto ove manifestamente irragionevoli”. Pertanto, la endemica lentezza che caratterizza i procedimenti è diretta conseguenza della fallace organizzazione strutturale, discrezionalmente demandata alla volontà del legislatore.
Per quanto concerne l’accezione soggettivista della ragionevole durata del processo, si sostiene che la stessa si atteggi, sic et simpliciter, come garanzia dell’accusato. Tale lettura, tuttavia, si dimostra miope nella misura in cui il “grimaldello” della ragionevole durata, posto nella disponibilità dell’accusato, risulterebbe esser vanificato nel caso in cui lo stesso andasse a collidere con il “muro” della strutturale inefficienza del modello processuale il quale, dunque, va ad assumere una consistenza quasi assorbente rispetto alle aspettative soggettive.
Come spesso accade, la soluzione migliore è quella informata a criteri di buon senso. Nella fattispecie, però, la problematica non è risolvibile con la chiave di lettura della alternatività, bensì con quella della continenza. Segnatamente, per l’ampiezza di prospettiva, la concezione oggettiva assorbe e tiene in sé quella soggettiva. Come si è potuto intuire, la questione relativa alla natura giuridica del principio della ragionevole durata del processo è quanto mai complessa ed articolata.
Si rende necessario, ora, affrontare il tema relativo alla titolarità soggettiva del principio e della legittimazione attiva in sede processuale.
Ad onta del tenore letterale dell’art. 6 § 1, prima parte della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, occorre precisare che il diritto ad ottenere una ragionevole durata del processo non è riferibile solo alla persona nei confronti della quale sia stata sollevata un’accusa penale. Tale dato risulta essere, oramai, acquisito nell’ambito della giurisprudenza, la quale evidenzia che la legittimazione attiva ai fini del riconoscimento della violazione della délai raisonnable è da prevedere anche in capo alla parte civile, al responsabile civile ed alla persona civilmente obbligata alla pena pecuniaria allorché tali parti “siano portatori di un diritto civile in contestazione”. Si è dunque assistito ad una progressiva dilatazione del novero dei legittimati attivi ad esprimere doglianza per l’assunta violazione del principio della ragionevole durata del processo.
Tuttavia, a destare interesse, è l’ulteriore ampliamento del novero in discorso allorché una recente decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo ha statuito che anche la persona offesa dal reato, non costituitasi parte civile, può, a certe condizioni, avanzare la doglianza in discorso.
Ma andiamo per ordine. La Corte Suprema di Cassazione, nel corso degli anni, in virtù di un consolidatissimo orientamento giurisprudenziale, quasi granitico, ha creato un vero e proprio presupposto giuridico, inquadrabile come una sorta di “condizione di proponibilità” della doglianza finalizzata all’ottenimento di un equo indennizzo in caso di valutazione di irragionevole durata del processo, e ciò evidentemente nel chiaro intento di circoscrivere il novero dei legittimati attivi. Gli ermellini, a più riprese, hanno evidenziato che il diritto alla ragionevole durata del processo, indicato nell’art. 6 § 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, legittima la pretesa “di qualsiasi persona che attenda da un tribunale la decisione sia delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta e, quindi, a condizione che la stessa sia parte del processo, con la conseguenza che la persona offesa dal reato, che non riveste tale qualità, pur potendo svolgere un'attività d'impulso particolarmente incisiva nel procedimento penale, non è legittimata a proporre domanda di equa riparazione se non si sia costituita parte civile e che, qualora tale costituzione sia avvenuta, la precedente durata del procedimento non rileva ai fini del computo della ragionevole durata”.
Tale pronunzia è di estrema importanza nella misura in cui consente di ricavare due importanti informazioni. La prima è certamente il cd. “principio della previa costituzione di parte civile”, che il legislatore ha altresì positivizzato nella parte finale dell’art. 2, comma 2 bis della legge 24 marzo 2001, n. 89 (c.d. legge Pinto), dove si afferma che il processo penale s’intende iniziato per la parte civile allorché la stessa abbia assunto tale qualità.
La seconda informazione che si ricava, è che nel caso in cui avvenga la costituzione di parte civile, ad esempio in sede di udienza preliminare, tale parte non potrà dolersi della eventuale irragionevolezza temporale maturata nella fase delle indagini preliminari. Si attesta, in tal modo, l’assoluta irrilevanza del peso del segmento investigativo per le persone offese, ai fini dell’ottenimento dell’equo indennizzo per durata irragionevole.
Un immaginario, questo, davvero insensibile ed unicamente idoneo a frustrare le aspettative di giustizia e risarcitorie della persona offesa dal reato, la quale, non sempre non si costituisce parete civile per sua volontà. Basti pensare alla immediata pronunzia ex art. 129 c.p.p. del giudice dell’udienza preliminare prima ancora della formale costituzione di parte civile della persona offesa in sede di prima udienza in camera di consiglio, oppure, alla ipotesi in cui non si arrivi proprio a tale fase per mezzo di una richiesta di archiviazione avanzata dal magistrato del pubblico ministero, accolta dal giudice per le indagini preliminari.
Ma i tempi erano finalmente maturi per un intervento della Corte europea dei diritti dell’uomo. La Corte di Strasburgo ha evidenziato che, per la persona offesa, il periodo da prendere in considerazione ai fini del decorso del termine valevole per la valutazione in ordine alla ragionevole durata del processo, non è quello coincidente con il dato formale della costituzione di parte civile della persona offesa, bensì quello coincidente con il “momento in cui la stessa abbia esercitato uno dei diritti e delle facoltà che le sono espressamente riconosciute dalla legge processuale penale”, così dimostrando un serio ed effettivo interesse all’ottenimento del risarcimento del danno subito.
Probabilmente, la Corte europea dei diritti dell’uomo, nel pretendere che la persona offesa abbia posto in essere almeno uno dei diritti e delle facoltà che il codice di rito gli attribuisce, ritiene indispensabile un atteggiamento non inerte, ma partigiano e ciò evidentemente a dimostrazione della serietà della pretesa, la quale, in tal caso, sarà valutata positivamente anche alla luce del criterio di relativizzazione cui ancorare la valutazione sulla irragionevolezza, ossia il parametro del “pregiudizio significativo” analizzato supra nel paragrafo 3.1. Infatti, l’esperimento dei diritti e delle facoltà riconosciute dal codice di rito da parte della persona offesa, lascerebbe dedurre la sussistenza di una chiara pretesa di giustizia e di risarcimento, probabilmente figlia di un significant disadvantage.
Nel corpo della sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo (§§16-17), i giudici di Strasburgo fanno un’elencazione quasi esaustiva dei diritti e delle facoltà che il legislatore attribuisce alla persona offesa nel codice di procedura penale. Basti pensare a quelli contenuti. Basti pensare alla possibilità di presentare memorie ex art. 90 c.p.p., alle informazioni cui ha diritto ex art. 90 bis c.p.p., alla possibilità di chiedere di essere avvisato in caso di proroga delle indagini ex art. 406 c.p.p., lo stesso in caso di richiesta di archiviazione ex art. 408 c.p.p. (salvo le ipotesi di cui al comma 3 bis, nelle quali il magistrato del pubblico ministero ha, in ogni caso, l’obbligo di informare anche senza previa richiesta), alla opposizione alla richiesta di archiviazione ex art. 410 c.p.p. e via discorrendo.
In conclusione, nel voler porre una considerazione critica rispetto al tema in discussione, oggi, alla luce della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Arnoldi c. Italia, non costituisce eresia dubitare seriamente della legittimità costituzionale del richiamato art. 2, comma 2 bis, ultimo periodo della legge 24 marzo 2001, n. 89, nella parte in cui lo stesso sancisce che “il processo penale si considera iniziato con l'assunzione della qualità di imputato, di parte civile o di responsabile civile, ovvero quando l’indagato ha avuto legale conoscenza della chiusura delle indagini preliminari” e non anche della “persona offesa, dopo che la stessa abbia esercitato almeno uno dei diritti e delle facoltà previste dalla legge”.
Sarebbe, dunque, auspicabile un intervento della Corte Costituzionale in tal senso, magari attraverso una sentenza additiva. Nelle more, tale disposizione, attraverso una interpretazione convenzionalmente orientata, potrebbe considerarsi tacitamente abrogata, nella misura in cui appare non più tollerabile il difetto di legittimazione attiva della persona offesa che abbia stimolato l’agire del magistrato del pubblico ministero e che si sia opposta ad eventuali richieste di archiviazione.
Ultima analisi, è quella relativa alla individuazione del dies a quo ai fini del decorso del tempo. Nell’ambito della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, non è dato rinvenire una disposizione che, espressamente, indica tale momento. Occorre precisare che non sempre quest’ultimo coincide con l’inizio del decorso del termine delle indagini preliminari, anche se non mancano pronunce in tal senso. In linea di principio, occorre esplicitare che il momento da prendere in considerazione ai fini della valutazione sulla ragionevole durata del procedimento penale è il momento in cui l’indagato “abbia ricevuto la comunicazione formale dell’addebito che gli viene, anche provvisoriamente, contestato”. Dunque, a titolo esemplificativo, al momento della ricezione dell’informazione di garanzia ex art. 369 c.p.p. o, quando il magistrato del pubblico ministero non abbia eseguito atti garantiti, al più tardi, al momento della notificazione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415 bis del codice di procedura penale.
Solo per questioni di completezza, interessante e curioso è, infine, anche l’ipotesi in cui il procedimento penale si sia concluso in tempi eccessivamente rapidi. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, a tal riguardo, non appare univoca in quanto oscilla tra la irrilevanza della valutazione circa la ragionevolezza per assenza di pregiudizio, e la rilevanza derivante dal fatto che l’eccessiva brevità potrebbe tradursi in sommarietà, ugualmente idonea a ledere la ragionevolezza di cui all’art. 6 §1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e ciò sempre in considerazione del fatto che ragionevolezza non è sinonimo di celerità e che l’efficientismo - pur essendo un indubbio valore - non può essere perseguito a discapito delle fondamentali garanzie dell’individuo. In ogni caso, riflettere su queste ipotesi di eccessiva brevità, guardando alla realtà italiana, appare davvero un tragicomico sacrilegio dall’indubbio retrogusto amarognolo.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Le indagini preliminari: tra ragionevole durata e completezza investigativa
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Informazioni tesi
Autore: | Costantino Luciano |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2018-19 |
Università: | Università degli Studi di Salerno |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Luigi Kalb |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 198 |
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