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La dimensione culturale nella traduzione del linguaggio giuridico inglese

La nascita dei ''Translation Studies''

La traduzione nasce grazie ai contatti tra gruppi parlanti lingue diverse e dunque come pratica orale. I segni più antichi della pratica scritta della traduzione risalgono alla civiltà sumero – accadica, verso la fine del terzo millennio a.C. Successivamente, per lunghi secoli la traduzione è esistita senza nessuna regola particolare ed è stata considerata un'attività secondaria, un processo "meccanico" invece che creativo, alla portata di chiunque abbia una conoscenza di base di un'altra lingua. In breve, essa è sempre stata vista come un'occupazione di secondo ordine. Anche gli studi sulla traduzione sono stati troppo spesso incentrati solo sull'analisi del prodotto e del risultato finale del processo traduttivo e non sul processo di per se stesso.
La pluralità di approcci teorici e l'intensificarsi nei secoli degli studi sulla traduzione attestano l'interesse sempre più vivo da parte degli studiosi per l'atto del tradurre. All'antica concezione della traduzione quale semplice esercizio di resa automatica da una lingua all'altra si è sostituito, grazie agli apporti di discipline e orientamenti diversificati (quali la storia letteraria, la teoria della letteratura, la linguistica, la filosofia, la retorica, la semiotica, ecc.), il concetto di "processo" che concerne non solo il piano linguistico ma l'intero sistema socio-culturale del testo. Per traduzione non si intende più la trasposizione parola per parola di frasi isolate e fuori contesto, ma un processo creativo non accessibile a tutti, dato che l'atto del tradurre richiede la capacità non solo di trasportare un significato da una lingua all'altra, ma anche di entrare in rapporto col testo e con la cultura soggiacente. La traduzione è dunque concepita come un movimento reciproco tra due lingue, "un andare-oltre e tornare-indietro da una lingua all'altra" e quindi mai a senso unico (Heidegger 1979: 151).
Se in passato la traduzione si incentrava quasi esclusivamente sui testi letterari o sui testi sacri e le relative teorie erano perlopiù riflessioni basate sull'attività pratica del tradurre e non avevano vita autonoma, in quanto venivano utilizzate come introduzione, epilogo o parte aggiuntiva delle opere tradotte, nel periodo cosiddetto "scientifico", ovvero nell'età contemporanea, si verifica una svolta fondamentale: numerosi studi danno il via alla formazione di una disciplina autonoma, che non intende fornire istruzioni pratiche su come tradurre né proporre modelli da imitare, bensì partendo dal testo tradotto si apre ad una prospettiva più generale, interdisciplinare.
Per un lungo periodo la traduzione è stata considerata come una branca minore degli studi di letteratura comparata o di una specifica area della linguistica e di conseguenza come un'arte derivata e secondaria. Tale sottovalutazione ha impedito il riconoscimento della sua dignità di disciplina accademica, abbassandone lo standard richiesto e focalizzando l'attenzione solo sul prodotto, ossia sul risultato finale del processo traduttivo e non sul processo di per se stesso. Il Novecento, in particolare, rappresenta un secolo di studi fondamentali in ambito linguistico e soprattutto traduttologico, studi orientati verso la ricerca di un approccio più sistematico alla traduzione in quanto vi era la necessità di spostare il centro delle indagini dall'astratto allo specifico, poiché "si è sempre tradotto in tutte le epoche, ma non si è mai stati sicuri di quale disciplina si stesse praticando" (Gentzler 1998: 51).
In questa fase, nota anche come "prima generazione" (Nergaard 1995: 5), si sviluppano i primi veri approcci metodologici alla traduzione basati sulla scienza linguistica, che era ritenuta la disciplina più adatta allo studio del fenomeno della traduzione dal momento che sembrava possedere gli strumenti teorici e linguistici essenziali per affrontare uno studio scientifico della traduzione. Questa fase è caratterizzata da un'impostazione scientifica, mediante la quale la traduzione viene analizzata da un punto di vista scientifico da linguisti, teorici dell'informazione e matematici che impostano la ricerca secondo la logica dei calcolatori suscitando un crescente interesse per la traduzione automatica. Tali studi danno vita ad una serie di approcci normativi e prescrittivi caratterizzati da norme e criteri considerati universalmente validi, che garantiscono processi automatici per la traduzione. Si tratta quindi di regole generali e astratte che non prendono in considerazione le specifiche caratteristiche testuali, contestuali o linguistiche del testo. La metodologia traduttiva è orientata al testo e alla lingua di partenza e per questo è definita source-oriented, ovvero funzionale unicamente all'originale e non al testo di arrivo (Nergaard 1995: 7). Per ottenere risultati soddisfacenti attraverso questa metodologia, i testi letterari vengono esclusi dal campo d'indagine perché ritenuti troppo complessi e ambigui dal punto di vista linguistico. Si tratta di traduzioni a livello di parola o frase, che hanno non solo il fine di dimostrare la validità degli studi effettuati ma anche una funzione pratica, quella di servire come regole e istruzioni per il traduttore. Esponenti maggiori di questa prima fase sono linguisti del calibro di Otto Kade, Catford, Eugene Nida, Georges Mounin, Koller e Wolfram Wilss (Nergaard 1995: 8). […]

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Informazioni tesi

  Autore: Annapina Rucci
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2012-13
  Università: Università degli Studi di Bari
  Facoltà: Lingue e Letterature Straniere
  Corso: Traduzione e Interpretazione
  Relatore: Patrizia Mazzotta
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 267

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