La motocicletta nel comportamento d'acquisto
La moto da mezzo di trasporto a status symbol
La moto nasce nei primi anni del '900 come semplice motorizzazione della bicicletta, da cui prende l'agile ciclistica e le quote importanti. Si afferma dapprima come mezzo di comunicazione economico rispetto alla più cara automobile, e specialmente in Europa va a riempire quel vuoto sociale lasciato dalle barriere d'accesso economiche per poter accedere al più costoso mezzo a quattro ruote.
Negli Stati Uniti le cose vanno diversamente, e le motociclette seguono un percorso di sviluppo parallelo alle automobili, alle quali non si sostituiscono, a causa della diversa destinazione d'uso: edonistica per le prime, di utilità per le seconde, complici anche le alte cilindrate (dovute anche ad un diverso sistema di produzione e ad un costo dei carburanti decisamente inferiore a quello europeo).
In Italia le piccole cilindrate la fanno da padrone, con qualche eccezione per alcune marche, come Laverda e Moto Guzzi, che già dagli anni 20 produce moto di media cilindrata, destinate non tanto agli spostamenti casa-ufficio, quanto alla realizzazione delle velleità sportive dell'italiano medio. In Europa BMW, Norton e Matchless sviluppano motociclette di media e grossa cilindrata mosse da potenti propulsori bicilindrici e arricchite da sospensioni telescopiche e telai sempre più robusti e sportivi, facendo lievitare a tal punto i costi che già dal primo dopo guerra, dopo il restauro delle fabbriche (già depauperate dalla corsa agli armamenti) danneggiate dai bombardamenti, una BMW R 51 costava 2.750 Marchi tedeschi, e addirittura la famosa R 50 (la moto di Steve Jobs) costava quasi 3.150 Marchi, ossia due terzi del costo di una Volkswagen Maggiolino (celebre utilitaria in uso in quegli anni) e cioè circa un anno di paga di un operaio specializzato (in Germania).
Dagli anni '60 in poi anche in Italia la moto cessa di ricoprire un ruolo strumentale e l'automobile di piccola cilindrata le si sostituisce nelle famiglie italiane come mezzo di trasporto di massa.
Dal canto suo la moto segue un percorso di simbolizzazione attraverso i media (celebri le scene di inseguimento dei film polizieschi degli anni '70) e le culture di consumo (i Rockers con le Harley Davidson, i Mods con le lambrette, etc.) ed entra di prepotenza nella ristretta cerchia degli status-symbol che la porteranno via via ad assumere valori diversi in base ai modelli di consumo e ai processi culturali delle varie epoche, alimentati da una creazione di significati circolare utente - prodotto, dove il consumatore ricoprirà un ruolo da protagonista nel ruolo di riproduttività (o anche di resistenza) legato al marchio/brand, fungendo anche, nei confronti degli altri consumatori, da "metamediario" , e cioè come influenzatore nei delicati processi d'acquisto sia durante l'atto stesso, sia nel momento di elaborazione/ricerca dell'informazione.
Di fatto il consumatore, nel caso della moto, aggiunge e modifica la sfera dei significati attribuiti al mezzo meccanico, trasformandolo in qualcosa di estremamente complesso proprio perché dotato di attributi e caratteristiche intangibili, legate alla percezione del sé o alla esternazione dei propri sé in base alla situazione, in un meccanismo di frammentazione situata per poter accedere più facilmente ai ruoli considerati opportuni/desiderati/possibili. Il motociclista usa, modifica, sviluppa la sua moto, alterandone la destinazione d'uso, implementandone le potenzialità e adattando a se stesso l'esperienza di consumo, usando la propria moto come immagine di sé, arricchendola nel contempo di nuovi attributi/caratteristiche (aspetti produttivi del consumo).
Il cliente motociclista acquista la propria moto spinto da un bisogno edonistico, ma anche in seguito ad un meccanismo di proattività, cioè di elaborazione, analisi delle alternative e scelta di un'azione possibile come risposta ad un bisogno percepito, è legato alla funzione normativa della società, al sé ideale e all'autopercezione, e spiega quanto di esclusivo ci sia nel rapporto uomo/macchina, dove la macchina assomiglia di più ad un artefatto di stampo vygotsiano, dotato di una doppia funzione di stimolo-effetto e di rapporto circolare (io uso la moto, ma la moto mi influenza a sua volta con le sue caratteristiche, io assumo il ruolo che viene attribuito, da me e dagli altri, dall'utente di quella moto).
Il consumatore infatti usa gli oggetti secondo il loro valore simbolico per comunicare la propria identità percepita (self concept) o ritenuta apprezzabile dagli altri, o anche solo per
differenziare la propria personalità attraverso una frammentazione simbolica multidimensionale. Tipico infatti in questo caso l'esempio dell'agente di Borsa incravattato che si trasforma in biker tutto borchie e pelle quando cavalca la sua Harley-Davidson il fine settimana. Belk esamina dal punto di vista psicologico il comportamento standardizzato del motociclista-tipo, capace di vivere con estrema naturalezza questa situazione di frammentazione del sé, nell'assunzione di ruoli apparentemente incoerenti e dicotomici, essendo pienamente in grado di gestire questa pluralità malgrado all'esterno si abbia spesso l'idea di un comportamento deviato o ego-distonico.
Secondo Belk, noi acquistiamo gli oggetti di cui ci circondiamo come si potrebbe fare con un guardaroba, scegliendo cosa "metterci" in base a ciò che riteniamo giusto per l'occasione. Anche secondo Dholakia e secondo la sua metafora del "teatro", assumiamo dei ruoli grazie agli oggetti esibiti; attraverso la scelta e l'esibizione infatti di un'auto, di una moto, di un orologio prestigioso, gioielli o anche usufruendo di un costoso trattamento in una SPA in centro, comunichiamo agli altri chi crediamo, riteniamo giusto o desideriamo essere.
Intorno ad un oggetto di consumo si sviluppano tendenze, mode, stili di vita, sottoculture giovanili. L'industria sfrutta questo meccanismo di retroazione per capire (e carpire) i comportamenti dei potenziali clienti ma anche e soprattutto per creare un supporto mediatico che faccia da contorno per la diffusione dei propri prodotti.
Negli anni '80 l'industria tessile italiana e le aziende di distribuzione di certe marche di abbigliamento/accessori, in accordo con alcune riviste e con la TV allestirono una valida impalcatura a sostegno di un lifestyle di riferimento, quello dei Paninari. Riuscirono in qualche modo a creare dei valori di riferimento e ideare dal nulla una sottocultura giovanile, con tanto di ideologia, filosofia di vita, modelli e simboli, tutti perfettamente calibrati intorno all'esperienza di consumo del "paninaro-tipo", un post-adolescente ancora confuso e sballottato da media, compagni, amici, famiglia, che affrontava le prime categorizzazioni sociali cercando di posizionarsi attraverso l'universo simbolico che gli oggetti di consumo "griffati" rappresentavano, e cercava riparo per la propria personalità ancora acerba nella sicurezza e nella coesione del gruppo di appartenenza: i Paninari. In casi come questo il consumatore diventa un semplice ingranaggio dove la sua "psicologia individuale non è più di disturbo: le "preferenze" sono imposte dalla situazione più d'insieme e non hanno bisogno di essere riecheggiate nella psicologia individuale". In un mondo sovraffollato di informazione e di messaggi, espliciti e meno espliciti, l'individuo spesso giudica più conveniente seguire delimitazioni d'azione costruiti per lui da altri (media, istituzioni, mode) che gli indichino la direzione della scelta, confidando nel valido supporto psico-attivo di queste "impalcature" esterne.
Ogni oggetto a cui attribuiamo dei valori simbolici, sociali, estetici, ha una doppia natura, astratta e fisica. La moto rappresenta non tanto un oggetto di consumo, ma un simbolo da esibire, da portare all'attenzione degli altri, al pari di un Rolex al polso o di una Montblanc nel taschino della giacca.
Alla luce di questi fatti sociali, la moto non è sempre la moto, o meglio, occorre fare un distinguo, ci sono moto che ci consentono di parlare di noi, del nostro modo di intendere l'esperienza individuale e sociale, e ci sono motocicli con un alto sviluppo tecnologico, dalle caratteristiche funzionali eccellenti, e quindi con un alto valore strumentale, ma con uno scarso valore simbolico, e questo come conseguenza degli obiettivi del management delle Case produttrici.
Mentre infatti la produzione europea e americana di motocicli è da ormai diversi decenni orientata al consumatore e al marketing, la produzione giapponese, leader mondiale di settore indiscusso, continua a orientarla al prodotto, investendo la maggior parte delle risorse in tecnologie ingegneristiche, innovazione ed evoluzione attraverso il kaizèn industriale tanto amato da Soichiro Honda, dove tutto è controllato, studiato nei minimi particolari, dove regnano ordine e perfezionamento continui, nell'ottica della massima affidabilità e eccellenza ingegneristica. Tutti i sistemi di controllo sulla produzione, monitoraggio continuo, controllo numerico e sistemi informatici, presi ad esempio in tutto il mondo dopo la japan invasion degli anni '70 (in quegli anni Henry Ford fece dotare tutti i reparti di produzione nelle sue fabbriche della doppia dicitura, inglese e giapponese...), hanno costruito la reputazione e l'insieme dei valori possibili legati ad una moto giapponese. Moto perfette, affidabili, tecnologiche, dalle forme altamente standardizzate, dove il picco di stile era accuratamente evitato, alle quali era impossibile trovare un difetto, un bullone fuori posto, con un'estetica priva di fronzoli, di fantasia, di personalità. Moto funzionali, prestanti, ma sterili, tutte uguali, poco "comunicative".
La moto comunica dinamicità, comunica la nostra personalità (percepita, desiderata, ideale) all'esterno. Non c'è niente di più diretto e accessibile come la visione del sé attraverso la motocicletta che cavalchiamo.
Una Yamaha o una Kawasaki comunicheranno sicuramente tanta tecnologia e stato dell'arte ingegneristico, ma una BMW o una Harley Davidson comunicano ciò che siamo, come ci percepiamo, come vorremmo essere, sia che ci troviamo in una solitaria strada di campagna, sia quando ci fermiamo in un bar del centro.
Questo brano è tratto dalla tesi:
La motocicletta nel comportamento d'acquisto
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Informazioni tesi
Autore: | Gianluca Colomo |
Tipo: | Diploma di Laurea |
Anno: | 2012-13 |
Università: | Università degli Studi di Cagliari |
Facoltà: | Scienze della Formazione |
Corso: | Scienze della Comunicazione |
Relatore: | Marina Mura |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 58 |
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