Onuc e Monuc: le Nazioni Unite e la crisi congolese a sessant’anni dall’indipendenza

La spartizione delle enormi risorse naturali del Congo ha sempre costituito – come si è visto - uno dei fattori cruciali della vita di quel Paese e ne ha condizionato pesantemente l’esistenza. Al momento della prima missione dell’ONU, all’inizio degli anni Sessanta, la politica internazionale giocava un ruolo importante, poiché si trattava – per l’Occidente – di tenere lontana l’Unione Sovietica da una zona in cui avrebbe potuto trovare materie prime in grande quantità e anche possibili alleanze. Successivamente, e tanto più dopo il 1989 e il crollo dell’URSS, la questione congolese è divenuto un affare interno al mondo occidentale, con almeno tre-quattro co-protagonisti di rilievo, tutti a loro in grado di incidere, sia pure in misura diversa, sulla situazione del Paese.
Con la presidenza Clinton, per cominciare, gli Stati Uniti hanno smesso di delegare alla Francia la gestione delle cose africane, come avevano in buona parte fatto negli anni in cui più solido era il regime di Mobutu e in cui, al tempo stesso, sempre meno rilevante si faceva la presenza sovietica in quell’area. Venuta a mancare la minaccia esterna, infatti, per Washington non era più possibile continuare a trascurare lo straordinario concentrato di risorse naturali presente nella zona, per cui gli USA hanno cominciato a sviluppare una politica propria, che è divenuta tanto più forte dopo il genocidio in Ruanda del 1994 e dopo il miope appoggio offerto da Parigi al regime di Mobutu e mantenuto anche quando era ormai chiaro che esso non aveva futuro. Le aspirazioni americane, inoltre, hanno trovato un ancor più solido punto di appoggio nel momento in cui nel continente africano ha cominciato a manifestarsi in forma sempre più massiccia la presenza cinese, sostenuta da una spregiudicata politica di accaparramento delle materie prime e di progressiva enucleazione delle grandi imprese europee negli appalti più importanti indetti in quel continente50. Il comportamento di Pechino, in effetti, lasciava intravedere che una nuova minaccia strategica si stesse profilando in quell’area, tanto più che il comportamento cinese era decisamente più sofisticato e accorto di quello sovietico, e puntava – almeno in quella prima fase – soprattutto su una penetrazione di carattere commerciale.
Un altro aspetto fondamentale della questione socio-economica è che il governo di Kinshasa, attraverso la concessione di circa il 70% delle ricchezze nazionali tramite contratti in favore di compagnie straniere che in realtà sono essenzialmente patti leonini, ha di fatto alienato a terzi gran parte delle ricchezze del Paese. I maggiori profittatori di questa situazione sono ovviamente Ruanda, Uganda e Zimbabwe, vale a dire i Paesi che hanno maggiormente aiutato la RDC, ma ci sono almeno 85 società multinazionali americane, europee e sudafricane che risultano implicate nelle più diverse forme di sfruttamento delle risorse naturali del Congo, spesso gestite per il tramite di organizzazioni criminali.