Teatro, memoria, identità: l'esperienza di Marco Paolini
La memoria come atto narrativo
“Le narrazioni sono la sostanza di cui è fatta ogni memoria collettiva.” Jedlowski
Di fronte al deficit di memoria cui stiamo assistendo negli ultimi anni nel nostro Paese, esistono tutta una serie di individui, gruppi e movimenti che dedicano i loro sforzi alla riscoperta del passato, sforzi che, anche se spesso
nostalgici o puramente commemorativi, contribuiscono a rinnovare l’interesse per una memoria in via di estinzione. Come ho già accennato nel paragrafo 2.1, l’interesse per la memoria è esploso in Italia solo di recente, nel 1987, con la prima traduzione italiana de La memoire collective di Halbwachs.
Questo evidenzia come la smemoratezza sia un problema più che contemporaneo, al quale molti rispondono raccontando ciò che ricordano o ciò che hanno riscoperto del passato e della tradizione. In primis i reduci di guerra, nella ritrovata possibilità di avere un uditorio interessato alla loro esperienza; gli storici; i saggisti; ma anche i commercianti ed i ristoratori, nella riscoperta dei prodotti tipici della tradizione e di un rinnovato bisogno di tornare ai ritmi della natura (agriturismo, ristoranti slow food, osterie tipiche eccetera); la televisione, con rotocalchi, filmati d’epoca ed ospiti che, da generazioni passate, ci raccontano le loro “Italie” anni ’40 e ’50; il teatro, con esperienze che vanno dal medioevo di Fo al caso Moro di Baliani, a I-TIGI di Paolini. Insomma, chiunque sia riuscito a ritagliarsi un angolo dal quale poter raccontare è stato legittimato a farlo. E proprio questo è il fatto: se la memoria non viene esplicitata, esteriorizzata attraverso il racconto, rimane priva di valore, inutile all’esperienza.
La memoria, quindi, non deve rimanere un dato fine a se stesso; è necessario che diventi “l’atto narrante di un individuo in un contesto sociale, nel tentativo di conferire significati condivisibili a certi eventi o aspetti del mondo.” Un atto che è allo stesso tempo autobiografia, esperienza di vita e tradizione. E’ la riformulazione, in chiave innovativa, di una storia e di un’identità, ricevute in eredità dalle generazioni passate e che verranno trasmesse a quelle future. Scrive Paolo Jedlowski: “Ciò che non trova parole per essere detto non può diventare esperienza.” Esistono naturalmente moltissimi modi di raccontare, con parole, gesti, suoni o immagini; oralmente o per iscritto; nella vita quotidiana, al cinema, in teatro. Ciò da cui non si può prescindere, però, è l’obbligo di narrare, “la necessità di portare in scena il passato, la memoria, come un atto necessario di deposizione.” Quello di Marco Paolini, attore e narratore veneto, è un modo efficace di ristabilire un contatto educativo con il nostro ieri. La sua esperienza, che ha radici nel teatro per ragazzi, evolve a poco a poco nella consapevolezza di occuparsi di una memoria collettiva, “in buona parte perduta da un Paese che allegramente canta in coro: ‘Chi ha avuto avuto avuto, chi ha dato dato dato, scordiamoci il passato’.” Un Paese nel quale si tenta di “riempire di terra anche la voce della Storia.”
Questo brano è tratto dalla tesi:
Teatro, memoria, identità: l'esperienza di Marco Paolini
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Informazioni tesi
Autore: | Elisa Zinnamosca |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2001-02 |
Università: | Università degli Studi di Verona |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Lettere moderne |
Relatore: | Marzia Pieri |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 226 |
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