L'Educatore Professionale in Cure Palliative: proposta di un modello d'intervento
La mediazione tra professionista – persona con malattia – famiglia/caregiver
Il dizionario Oxford Languages definisce la parola mediazione come "l'azione svolta da terzi per il raggiungimento di un incontro e di un accordo". Il termine, quindi, attribuisce ad un terzo uno status e un potere che, per la sua professionalità, abilità e competenza è capace di stare in mezzo tra due parti in conflitto o in disaccordo.
Nel corso degli anni, la figura del mediatore in ambito socio-sanitario è stata rivestita tradizionalmente dal medico, il cui status e ruolo nella mediazione hanno tuttavia subito dei cambiamenti.
A. Gawande, nel testo "Essere mortale", fornisce una visione storica e culturale dei diversi modelli di riferimento dello status del medico, più in generale del professionista, nel corso del tempo:
- Modello paternalistico – modello to cure: prevedeva il medico come figura onnipotente ed onnisciente che poteva, grazie alla sua conoscenza e professionalità, decidere della vita del paziente, senza mai essere contestato. Inoltre, lo scopo del medico era quello di curare (nell'accezione di guarire) la malattia;
- Modello informativo: il medico fornisce le sue competenze "rovesciandole" però sull'utente; in questo modo il paziente è informato ma, purtroppo, investito e stordito dalle informazioni che potrebbe non comprendere totalmente. Dal punto di vista professionale, questo modello era lineare e "corretto" poiché il medico svolgeva il suo ruolo informando il paziente;
- Modello interpretativo - bio-psico-sociale - to care: in questa accezione il professionista, ora non più necessariamente il medico, supporta il paziente "a riconoscere i propri desideri, a riordinare le proprie priorità e quindi a scegliere sulla base di quelle".
Grazie a questa metodologia l'utente, sia esso la persona malata o il familiare, è abilitato ed "empowerizzato" ad autodeterminarsi attraverso la consapevolezza dei propri vissuti e azioni in previsione di una scelta informata.
Tendendo quindi verso l'empowerment della persona, il professionista agirà il ruolo di costruttore di ponti relazionali, ossia di facilitatore comunicativo e catalizzatore del cambiamento nella relazione che intercorre tra i protagonisti dell'esperienza del fine vita. Il mediatore, in questa visione, si premurerà di sviluppare resilienza, autenticità e trasparenza nelle figure coinvolte. Consapevole però che il cambiamento, se non richiesto o voluto, egli troverà necessariamente resistenze di cui è suo compito e competenza prendersi carico, attivando processi di consapevolezza e libertà d'azione, ossia un'autodeterminazione del paziente e una legittimità a provare sentimenti, avere dubbi e dire la propria del familiare.
Proprio perché le situazioni familiari all'accesso in Hospice sono le più svariate (impossibilità di curare il proprio caro a domicilio, presenza di persone con disabilità o disturbi psichiatrici, difficoltà economiche marcate oppure caregiver assente, inadeguato o in burnout), è opportuno che l'équipe di Cure Palliative, ciascun professionista – quindi, se presente al suo interno, anche l'Educatore Professionale socio-sanitario – tenga presente la soggettività del contesto e la relativa precarietà in cui la persona con malattia inguaribile è inserita, elaborando poi una presa in carico volta anche al benessere del nucleo familiare. Qualora la situazione fosse troppo complessa e/o di difficile elaborazione, sarà compito del mediatore contattare ed attivare più servizi e/o enti competenti.
Attraverso comprensione, autenticità, osservazione, sospensione del giudizio, ascolto attivo ed empatia dovrà "accogliere la sofferenza dell'altro" modulando l'intervento e diventando "flessibile tanto da consentirgli di vivere a modo proprio l'ultimo tempo della vita".
Le tecniche di mediazione prendono in esame le molteplici visioni degli attori coinvolti, le quali potrebbero risultare contrastanti tra loro, al fine di trovare una possibile soluzione che acquieterà i conflitti. La famiglia, ad esempio, prova spesso un senso di impotenza davanti al proprio caro che soffre e che lentamente si spegne. Grazie ad una mediazione efficace, la famiglia riacquista valore e diventa parte attiva del processo di benessere psico-sociale del malato.
Occorre quindi creare uno spazio e un luogo conosciuto dall'utente o suo famigliare, in questo caso la relazione di fiducia instaurata, aperto al confronto e utile all'espressione di dubbi, paure, dolori, perplessità, pensieri che possono essere espressi con maggiore serenità in tale contesto privilegiato e protetto.
Il professionista fornirà strategie, metodi ed interventi di tipo comunicativo, relazionale e/o pratico-quotidiano, dando la possibilità di sviluppare competenze volte alla risoluzione dei conflitti.
Grazie a questo percorso di empowerment reso possibile dall'uso delle tecniche di mediazione, la famiglia non svolge più un ruolo passivo, ma diviene una risorsa per l'équipe e per il paziente.
Questo brano è tratto dalla tesi:
L'Educatore Professionale in Cure Palliative: proposta di un modello d'intervento
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Informazioni tesi
Autore: | Stefano Belvisi |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2020-21 |
Università: | Università degli Studi di Milano |
Facoltà: | Medicina e Chirurgia |
Corso: | Educazione Professionale (l-snt/2) |
Relatore: | Antonella Reale |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 177 |
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