Dalla Maschera-Costume al Costume-Maschera
La maschera con funzione protettiva: il caso del Kanga-Dongo
L’elemento della maschera si lega strettamente al concetto del travestirsi, in quanto indossare un costume ed attuare un mascheramento corrisponde il più delle volte ad assumere o interpretare un’identità diversa dalla propria, oppure a celarla o rafforzarla in maniera esagerata.
D’altra parte nei popoli di interesse etnologico non si tratta di “travestitismo” nel senso che noi diamo a questo termine, salvo in casi rarissimi, ma piuttosto di un camuffamento, una maschera a fini economici, sociali, culturali e soprattutto rituali. Anche se non mancano i casi in cui il mascheramento inteso come travestimento «è uno scherzo, una provocazione al fine di suscitare ilarità, ristabilendo così una situazione normale, turbata da una rottura di interdetto o da qualche catastrofe cosmica». Indossare una maschera-costume ai fini di travestimento, comporta l’assunzione di un’altra identità, per lo più solo in via temporanea: dell’altro sesso, di un altro individuo, di un’altra professione, specializzazione o carica, di una divinità o di uno spirito, di un animale. Questi ultimi sono i travestimenti di uso più frequente, non solo relativamente ai cacciatori - in quanto le maschere, mezzo di travestimento per eccellenza, hanno quasi sempre forma zoomorfa e impiego rituale per propiziare la buona riuscita della caccia stessa - ma vengono impiegati ampiamente anche in connessione alle iniziazioni puberali, alle società segrete, alle grandi feste annuali connesse con la fertilità e il rinnovamento e a scopo protettivo.
Un esempio emblematico di come un mascheramento assuma importanza a livello simobolico-protettivo ci viene dalla popolazione degli Anyi-Abron del Ghana.
A causa dell’alta frequenza delle morti infantili presso queste genti, vengono messi in atto una serie di accorgimenti mirati a proteggere l’identità del bambino appena nato, specie se lungamente atteso, tramite rituali ben precisi, dove assume un ruolo chiave il travestimento, tramite mascheramento, dell’infante stesso.
Si parla di mascheramento in quanto il bambino viene letteralmente mascherato da schiavo per renderlo meno appetibile agli stregoni e alle forze malefiche che, presso la cultura Anyi-Abron, si crede attentino alla vita dei neonati.
Vengono così attuate cerimonie rituali in cui il bambino viene travestito e sottoposto a finte vendite o in cui viene mascherato con vesti lacere e capigliatura gorgonica: tutto questo per nascondere la sua vera identità e creargliene una falsa da schiavo, così da diventare il sostituto di se stesso ed essere inattaccabile dalle forze del male. A completare questo mascheramento contribuisce un singolare ornamento composto da vari materiali, tutti vili, frammentati o strappati, rappresentanti anche una sintesi della cultura locale in quanto rafforzati nella loro valenza magico-protettiva da una serie di detti e proverbi ripresi dalla tradizione Anyi-Abron e forniti dagli stessi indigeni. Questo bambino schiavo, chiamato Kanga presso gli Anyi, e Dongo, presso gli Abron, viene così mascherato in modo tale da risultare non interessante agli stregoni, data la condizione degradata degli schiavi, e contemporaneamente permette la salvezza di tutto il villaggio che ha contribuito a fornirgli tale travestimento.
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Dalla Maschera-Costume al Costume-Maschera
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Informazioni tesi
Autore: | Claudia Giordano |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Roma La Sapienza |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Scienze della Moda e del Costume |
Relatore: | Alessandro Saggioro |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 150 |
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