Il ruolo simbolico del paesaggio nell'opera di Cesare Pavese

Si tratta dell'ultimo romanzo di Pavese, scritto tra settembre e novembre 1949 , pubblicato nell'aprile 1950, quattro mesi prima della morte. Il protagonista è Anguilla, un orfano, un "bastardo" cresciuto nelle Langhe, che riviene sui luoghi dell'infanzia e della giovinezza, dopo aver fatto fortuna in America. Ritrova qui l'amico di allora, Nuto, e fa la conoscenza di Cinto, figlio di Valino, col quale s'identifica. Il passato, nel ricordo d'Anguilla, si svolge parallelamente al presente, attraverso dei flash-back nei quali rivive gli anni giovanili quando lavorava alla "Mora". Come nel passato, le Langhe sono una terra di miseria ed è questa miseria che dà libero corso alla folle violenza di Valino : metterà il fuoco alla casa e in una notte distruggerà la famiglia.

Che senso possiamo attribuire a La luna e i falò, il romanzo più maturo e consapevole di Cesare Pavese? Lui stesso scrisse : "La luna e i falò è il libro che mi portavo dentro da più tempo e che ho più goduto a scrivere. Tanto che credo che per un pezzo – forse sempre – non farò più altro. Non conviene tentare troppo gli dei". Il nostro proposito annuncia un mito, il mito del ritorno. Alludiamo soltanto ai temi della cospirazione antifascista, della lotta partigiana, di cui Anguilla e Nuto parlano durante le loro passeggiate, poiché Pavese vuole abbordare qui il gran tema del ritorno alle radici, al luogo ove si nasce e dove si muore. Passato e presente sono riuniti sul piano simbolico attraverso degli elementi del paesaggio evocati per fissarne l'identità attraverso il tempo. Il ritorno al paese natale non si limita a fare risorgere i ricordi del passato, ma, come lo sottolinea nell'introduzione il già citato Beccaria, permette "di intravedere, sotto la narrazione realistica dei fatti, certi simboli perenni del destino umano."