Il regime costituzionale dei culti acattolici
La libertà di religione nell'ambito dei diritti e delle libertà fondamentali
L'art. 3 comma l della Costituzione stabilisce che "tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali". E' la solenne riaffermazione, in sede di principi fondamentali, del classico postulato dell'uguaglianza risalente alla Rivoluzione francese ed ancor prima a quella cristiana: "ama il prossimo tuo come te stesso.
Tale principio è tuttora cardine delle democrazie contemporanee ma anche, peraltro, fonte di controversie, implicazioni e corollari di vivissima attualità. Le due regole della pari dignità sociale e di quella giuridica fra gli uomini nonostante le differenti condizioni personali e sociali descrivono lo sfondo sociale della normativa in esame.
Esse non enunciano astrazioni, ma principi concreti, che si convertono in quella che viene chiamata la regola della parità di tutti gli individui, da considerare potenzialmente titolari di uguali situazioni giuridiche sia attive (diritti, poteri, facoltà) che passive (doveri, obblighi, soggezioni), con la sola discriminante della capacità, che solo per motivi ragionevoli il legislatore può differenziare.
Un esempio significativo è dato dalla XIII disposizione transitoria della Costituzione: le norme restrittive della capacità dei Savoia discendono dalla condanna politica della monarchia, e dalla conseguente necessità dell'emarginazione dell'ex casa regnante, voluta legittimamente dall'Assemblea costituente. Solo la pari dignità sociale, imponendo un eguale rispetto per tutti, non può essere vulnerata da condizioni di capacità (età, capacità d'intendere e di volere).
La tendenziale cancellazione delle disparità delle condizioni personali e sociali è confermata dalle norme che non riconoscono i titoli nobiliari (art. XIV disposizioni finali), in base alle quali la Corte costituzionale nel 1967 cancella dall'ordinamento leggi che regolano il contenzioso sulle pretese relative a quei titoli. Può considerarsi come pacifica l'affermazione secondo cui l'uguaglianza investe non solo i "cittadini", come dice l'art. 3, ma anche gli stranieri e le formazioni sociali.
Per i primi, il principio viene affermato dalla Corte nel '67 a proposito del rispetto dei diritti fondamentali; per le seconde si cerca soprattutto di evitare ripercussioni discriminatorie sulla sfera giuridica degli iscritti. Bisogna precisare che l'uguaglianza vale in seno a ciascuna categoria delle formazioni sociali (pubbliche, private, confessionali, politiche, sindacali e via dicendo), restando libero il legislatore di porre discriminazioni tra le diverse categorie, in omaggio alla diversità dei fini che esse perseguono.
Sulla base dell'art. 3, la legge deve trattare in modo uguale le fattispecie uguali, o molto simili, ed in modo razionalmente diverso quelle fra loro diverse: solo in tal modo si realizza una giustizia sostanziale. Si abbandona così la tesi dei primi commentatori, che svalutano il principio centrandolo appunto sull'eguaglianza davanti alla legge, che al massimo vieta al legislatore di porre privilegi, cioè leggi singolari (perciò anche quelle retro attive ), e si pongono le basi di un divieto, ben più pregnante, che è quello di creare leggi irrazionali, che pongono ingiustificate disparità di trattamento tra i soggetti.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Il regime costituzionale dei culti acattolici
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Informazioni tesi
Autore: | Nicola Cioffi |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2010-11 |
Università: | Università degli Studi di Parma |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Mario Ricca |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 167 |
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