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I limiti dello sviluppo. L'idea di sostenibilità in tempo di crisi. 1973 -1975, 2007 - 2009.

La globalizzazione della questione ambientale: il problema delle emissioni di Co2

Le argomentazioni concernenti i limiti dello sviluppo sorte all’indomani della crisi del Kippur si ripresentarono sostanzialmente immutate nei loro aspetti principali anche nel ventunesimo secolo. L’esistenza di una forte interdipendenza tra i vari aspetti della sostenibilità, come quello demografico, energetico od ambientale, era stato ormai largamente condiviso da un’opinione pubblica che si dimostrava estremamente attenta ed interessata a tali tematiche.
Dall’inizio del secolo, la minaccia di un riscaldamento globale dell’atmosfera del pianeta Terra si pose al centro dell’attenzione diventando oggetto di animati dibattiti soprattutto in seguito all’attività svolta dall’IPCC. In effetti, a partire dagli anni ’90 del ‘900 i rapporti di valutazione periodicamente diffusi da tale organismo furono alla base dei più importanti accordi internazionali in materia di tutela dell’ambiente, ovvero la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e il Protocollo di Kyōto.
L’ultimo rapporto di valutazione, pubblicato nel 2007, fu quello che più di tutti destò preoccupazione all’interno dell’opinione pubblica. Esso riportò una serie di rilevazioni secondo le quali la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera aveva raggiunto, nel 2005, livelli tali da poter essere causa di gravi conseguenze per l’intero pianeta:

Il riscaldamento del sistema climatico è inequivocabile, come è ora evidente dalle osservazioni dell’aumento delle temperature medie globali dell’aria e delle temperature degli oceani, dello scioglimento diffuso di neve e ghiaccio, e dell’innalzamento del livello del mare medio globale […]. Il diffuso riscaldamento dell’atmosfera e degli oceani osservato, insieme alla perdita di masse di ghiaccio, supporta la conclusione che è estremamente improbabile che i cambiamenti climatici globali degli ultimi 50 anni possano essere spiegati senza forzanti esterni, ed è molto probabile che non siano stati causati solo dalle cause naturali conosciute.

Il Corriere della Sera diede notizia della divulgazione del rapporto in questione il 2 febbraio 2007. L’autore dell’articolo, il giornalista Franco Foresta Martin, si mostrò solidale con le tesi esposte dal rapporto, descritto come il più approfondito e completo studio sul clima elaborato fino a quel momento, ed auspicò l’attuazione da parte della leadership mondiale di piani straordinari di risparmio energetico e di efficienza, onde evitare in un futuro non troppo lontano “la perdita di vite umane, città e paesaggi naturali”.

La responsabilità dell’uomo nel crescente aumento delle temperature della Terra venne considerato l’autentico punto di svolta. Prima di quel momento i climatologi dell’IPCC gli attribuivano un 60-70% di colpa, mentre col rapporto del 2007 si passò al 90-95%. Le concentrazioni di Co2, il principale fra i gas riscaldanti liberati dalle combustioni, proseguì Foresta Martin citando il rapporto, avevano raggiunto i livelli più alti degli ultimi 650 mila anni, 380 parti per milione, con un incremento di oltre il 35% negli ultimi due secoli. Ormai era più di una semplice ipotesi il fatto che dalla metà del secolo in poi, l’intossicazione dell’atmosfera avrebbe potuto superare il limite di non ritorno, 550-600 parti per milione, limite oltre il quale il sistema climatico si sarebbe modificato in modo irreversibile e distruttivo per la vita sulla Terra . Da notare come nello specifico caso del nostro Paese, i livelli di inquinamento atmosferico nella zona compresa tra Appennini e Alpi fossero tra i più alti in Europa e superassero ampiamente, già da qualche anno, i livelli di soglia fissati a Kyōto.

A testimonianza di questo può essere citato un articolo pubblicato alla fine di febbraio, nel quale venne data notizia dell’attuazione di un blocco del traffico, programmato per la domenica seguente, che avrebbe coinvolto dieci milioni di autovetture in sette regioni del nord Italia. Il quotidiano tornò nuovamente a parlare del quarto rapporto ICPP il 13 marzo e questa volta lo fece con toni estremamente più drammatici. Ad occuparsi dell’argomento fu sempre Franco Foresta Martin, il quale introdusse con queste parole il suo articolo:

Lo hanno ribattezzato “Il libro dell’apocalisse climatica” perché descrive, con un pessimismo senza precedenti, gli effetti devastanti del progressivo aumento delle temperature sugli ecosistemi e sull’uomo. Ci avverte che dobbiamo prepararci al peggio. Che alcuni segnali del riscaldamento, come gli inverni più miti o l’abbondanza di alcune produzioni agricole, potrebbero sembrare positivi. Ma è solo l’inizio di un cambiamento che volgerà presto in un incubo. Una ventina d’anni e il pianeta cambierà volto, con carestie, siccità, epidemie, inondazioni e estinzioni di massa.

L’aumento di temperatura compreso tra i 4° ed i 6° centigradi previsto per il 2080, continuò, sarebbe potuto essere la cause di eventi catastrofici che si sarebbero susseguiti a catena ad un ritmo impressionante. All’interno dell’articolo venne riportato anche il punto di vista di Sergio Castellari, climatologo dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, nonché rappresentante dell’Italia presso l’IPCC. Nonostante il punto di vista del climatologo italiano venisse considerato tra i meno pessimisti all’interno dell’ambiente accademico esso presupponeva comunque un’azione immediata da parte dei Paesi maggiormente industrializzati. Secondo Castellari negli ultimi cento anni erano stati compiuti a carico dell’atmosfera danni talmente gravi al punto da poter rendere inefficaci perfino i limiti di riduzione delle emissioni fissati con il protocollo di Kyōto:

Per salvarsi, bisogna andare avanti con riduzioni ancora più efficaci e ricorrere alle misure di adattamento, cioè ad azioni di difesa attiva, riducendo la vulnerabilità delle
aree e delle strutture civili sensibili agli estremi climatici.


A livello europeo l’attenzione in merito alla questione ambientale rimase comunque sempre molto alta. Agli inizi del mese di marzo si svolse a Bruxelles una riunione del Consiglio europeo, nel quale il presidente di turno, la cancelliera tedesca Angela Merkel, promosse un non facile accordo tra i 27 Paesi membri sugli obiettivi di riduzione di anidride carbonica tramite lo sviluppo delle energie rinnovabili. Il punto di riferimento era una riduzione del 20% delle emissioni di Co2 entro il 2020, rispetto ai livelli del 1990, con la possibilità di estendere l’obiettivo al 30% qualora fosse arrivato anche l’assenso dei grandi Paesi extraeuropei, inoltre, l’introduzione di biocarburanti per i trasporti sarebbe dovuta arrivare al 10% sempre entro il 2020.

La determinazione della Cancelliera tedesca nel voler puntare verso quella che venne definita la “svolta verde” dell’Unione europea può essere ravvisata nella risposta che diede al rappresentante europeo di Confindustria:

Nessuno ha idea dei costi di impegni obbligatori nelle energie rinnovabili, ha protestato il presidente della Confindustria europea, il francese Antoine Sellière. La Merkel ha
replicato che si provocherebbero "costi maggiori inquinando, inquinando e inquinando".

Questo brano è tratto dalla tesi:

I limiti dello sviluppo. L'idea di sostenibilità in tempo di crisi. 1973 -1975, 2007 - 2009.

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Informazioni tesi

  Autore: Angelo Merlo
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Trieste
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze della politica
  Relatore: Daniele Andreozzi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 156

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