Il licenziamento: dinamiche psicosociali e strategie di coping
La disoccupazione come stressor: le strategie di coping
Innanzitutto, un aspetto da tener conto è il fatto che le risposte da parte dell'individuo non sono degli automatismi. Non è detto, infatti, che un licenziamento produca un effetto negativo senza la mediazione del soggetto stesso. Il verificarsi di tali effetti, infatti, dipende da una condizione fondamentale: che la disoccupazione venga percepita dall'individuo come uno stressor (Fineman 1979). Per essere percepito come un evento portatore di stress, lo stato di disoccupazione deve essere percepito dal soggetto (ivi): come un problema; come una possibile minaccia per il proprio self.
Se al soggetto disoccupato mancano queste due percezioni, o anche solo una, gli effetti della disoccupazione possono non verificarsi, perché se la perdita del lavoro non viene vissuta dall'individuo come un problema, essa non causerà sintomi di stress.
Quando la disoccupazione viene percepita come un problema, all'individuo viene richiesto di "attivarsi", cioè di scegliere tra diverse soluzioni. Se poi essa arriva a minacciare il self, diventa un vero e proprio stressor. Ciò vuol dire che l'individuo non riesce a dominare il problema (ivi).
A questo punto, lo stato di disoccupazione avrà "via libera" per produrre i suoi effetti. Essi dipendono quindi dal soggetto disoccupato, in particolare dalla valenza (negativa o meno) che egli attribuisce alla perdita del lavoro.
Dunque, lo stress è una situazione di disagio psichico che può accomunare il pre-licenziamento al post-licenziamento. Infatti, oltre ad essere una delle possibili cause della perdita del lavoro (cfr. cap. 2), lo stress ne è una delle principali conseguenze, dalla quale possono dipendere i successivi comportamenti.
Qualora la percezione della disoccupazione come evento stressante fosse presente, l'individuo ha la possibilità di mettere in atto una particolare serie di reazioni. I meccanismi individuali di fronteggiamento a qualsiasi situazione di stress sono meglio conosciuti come "strategie di coping" (Tortorici e Rozbowsky 2007). Le strategie di coping possono essere sia psicologiche (cognitive e comportamentali) sia fisiologiche. Infatti, l'esperienza percettiva di stress "porta a cambiamenti nello stato fisiologico e a tentativi cognitivi e comportamentali di ridurre il potenziale stressogeno della richiesta" (ivi, 242). La possibile inefficacia di questi tentativi riparatori potrebbe far sì che insorgano danni strutturali e funzionali, variabili da individuo a individuo (Favretto 1994).
Allo scopo di rilevare le varie modalità con le quali lo stress viene fronteggiato, la letteratura ha proposto numerosi modelli teorici, ma i più importanti sono essenzialmente tre:
a) la teoria transizionale (Lazarus e Folkman 1984);
b) la teoria di Rothbaum, Weisz e Snyder (1982);
c) la teoria di Roth e Cohen (1986).
In primo luogo, la messa in atto di una strategia di coping segue un percorso preciso. L'approccio transizionale di Lazarus e Folkman (1984) valorizza la componente soggettiva dell'evento stressante, i due studiosi hanno rilevato che l'elemento decisivo nel determinare l'entità della reazione è proprio la valutazione cognitiva (appraisal) del suddetto evento. Come mostra la fig. 3, l'individuo attua due tipi di valutazione:
a) primaria: come è stato detto, per fronteggiare lo stress, è necessario che la situazione venga percepita come stressante, e cioè come una minaccia, una sfida, un danno, una perdita;
b) secondaria: se l'evento è percepito come uno stressor, l'individuo valuta le risorse e le capacità a propria disposizione per affrontarlo.
I due studiosi, inoltre, hanno distinto due tipologie di coping:
a) focalizzato sull'emozione (emotion-focused): tende a modificare l'esperienza soggettiva e i sentimenti negativi derivati dalla situazione in questione. Solitamente l'individuo ricorre a strategie di questo tipo se l'evento è percepito come immodificabile;
b) focalizzato sul problema (problem-focused): tende a modificare l'impatto negativo di un problema modificando la situazione stessa. L'individuo tende a ricorrere a strategie di questo tipo se l'evento è considerato controllabile e modificabile.
Pregare, ignorare il problema, distrarsi, sfogarsi con gli altri, cercare di non pensare alla situazione sono tipici esempi di strategie emotion-focused; cercare informazioni, valutare i pro e i contro, controllare la situazione rientrano invece nelle strategie problem-focused.
Applicando tale distinzione al licenziamento, nel primo caso il disoccupato cerca di ridurre l'impatto emotivo degli effetti del licenziamento. Quando è focalizzato sul problema, invece, egli attua strategie finalizzate al cambiamento della sua situazione, generalmente alla ricerca di un nuovo lavoro.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Il licenziamento: dinamiche psicosociali e strategie di coping
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Informazioni tesi
Autore: | Giuseppe Pozzuto |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2010-11 |
Università: | Università degli Studi del Molise |
Facoltà: | Scienze Umanistiche |
Corso: | Scienze della comunicazione pubblica, d'impresa e pubblicità |
Relatore: | Rosa Scardigno |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 139 |
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