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Le immagini delle parole - Storie di mondi interiori

La critica di Socrate alla scrittura

Socrate, filosofo greco vissuto intorno al IV secolo a. C., non scrisse mai niente.
Non scrisse per scelta, perché secondo lui l'unico modo per arrivare a conoscere la verità è il dialogo, lo scambio, chiedere e sentirsi dare una risposta, portarla dentro di sè.

Ricordiamo che uno dei capisaldi della filosofia di Socrate è la coscienza di sè e la consapevolezza del proprio non sapere, oltre che l'utilizzo dell'ironia per porre domande ai propri interlocutori e fare emergere le loro contraddizioni.

Il sapere in Socrate è fondamentale poiché strettamente legato alla virtù, la cui ricerca è indispensabile per raggiungere la bellezza dello spirito, e così la verità. La filosofia non è altro che la preparazione dell'anima alla morte, anima immortale e tripartita.

L'anima, per Socrate, è rappresentata come una biga alata, in cui l'auriga impersonifica la sua parte razionale. Il carro è trainato da due cavalli, un cavallo bianco che tende verso l'alto, e uno nero, che trascina il carro in basso.

Il cavallo bianco è la parte coraggiosa dell'anima, la volontà buona. Il cavallo nero è la parte sensoriale, passionale, legata ancora al corpo, che deve essere domata perché il carro possa proseguire la sua ascesa verso il mondo delle idee.

Il suo traguardo avverrà più o meno faticosamente in base agli sforzi dell'auriga e del cavallo bianco, quindi in base a quanto in vita si è tenute allenate la forza di volontà e la razionalità, in preparazione al raggiungimento dell'iperuranio.

Questo apre anche uno spunto importante verso la ricerca del bello, al quale bisogna essere allenati, preparandosi gli occhi, altrimenti non ci si renderà mai conto di tutto il bello che c'è fuori, ovunque intorno a noi.

Il pensiero di Socrate è arrivato fino a noi grazie al suo discepolo Platone, che mise per iscritto, conservandone l'originale forma dialogica, la dottrina del filosofo, influenzando così tutta la filosofia occidentale.

Tra questi dialoghi ve n'è uno in particolare, il Fedro, che ci può aiutare a entrare nel vivo della questione dell'importanza dell'oralità rispetto alla scrittura per Socrate.

Nell'ultimo capitolo del dialogo, infatti, Socrate chiede a Fedro se sa come piacerebbe di più a Dio, se scrivendo o parlando. Non conoscendo la risposta, Fedro chiede se Socrate sapesse dargliene una.

Eccoci dunque presentato il mito di Theuth e Tamo.

Il mito viene spesso utilizzato da Platone come racconto razionale che aiuta il lettore a capire meglio qualcosa che va al di là delle parole, è un ponte che raggiunge ciò che il linguaggio non riesce a creare. Platone grazie al mito crea immagini e mondi nuovi e altrimenti inaccessibili, in cui siamo invitati a entrare per arrivare alla verità e al significato più profondo della dottrina.

Spesso questi miti sono ambientati in epoche lontane; questo contribuisce a fargli avere una maggior autorevolezza tramite la forza delle cose passate, per uscire dal tempo e immedesimarsi in qualcosa di sconosciuto e lontano, nelle nostre stesse radici, in cui tutto ciò che è narrato non solo è possibile, ma sembra essere esistito davvero e avere generato tutto il resto.

Il mito di Theuth e Tamo dunque è un meraviglioso affresco di parole e immagini che ci accompagnano per mano verso la risposta di Socrate alla domanda posta a Fedro "sai dunque tu come piaceresti più a Dio, trattando o parlando di orazioni?"²

A Naucràti d'Egitto, chiamata anche dagli elleni la Tebe egizia, vi era un dio a cui era sacro l'uccello Ibi, chiamato Theuth (si tratta del dio Thoth, talvolta rappresentato come ibis).

Theuth arriva alla corte del re Tamo per presentare tutte le sue invenzioni, affermando che dovessero essere insegnate a tutti gli egizi, essendo Tamo re di tutto l'Egitto. Queste comprendevano i numeri, l'abaco, la geometria, l'astronomia, il gioco delle pietruzze e dei dadi (simile alla nostra dama), e le lettere. Per ognuna di queste inizia a elencare i miglioramenti e pregi che potevano portare con loro, ma anche i mali, sotto il giudizio del re.

Arrivato alle lettere, Theuth disse che potevano portare con loro solo giovamento, rendendo gli egizi più sapienti e con più memoria. Sarebbero state come un farmaco per poter ricordare meglio.
Tamo però non è d'accordo, interrompe il dio e gli dice che no, non potranno portare benefici, forse Theuth si trova a parlarne così perché accecato dall'amore della loro creazione, ma esse faranno il contrario di ciò che promettono.

Le parole, infatti, faranno dimenticare a chi le avrà imparate.
Chi le saprà non si curerà più della propria memoria, ma affiderà alle parole il compito di ricordare al posto suo.
Alle persone parrà di sapere più cose, ma non sarà vero; avranno sicuramente accesso a più conoscenza, che non arriverà da dentro di loro ma rimarrà tutta al di fuori, estranea.
Non si eserciterà più la memoria e il ragionamento, il confronto e il ricordo, ma ci si troverà di fronte a un accumulo di nozioni che darà solo l'illusione di sapere.

La scrittura può essere paragonata alla pittura: un linguaggio che pare vivo, ma tace.
Sembra le parole sappiano di cosa stanno parlando, eppure interrogate, continuano a dirci la stessa cosa. Il testo scritto rimane lì come se non potesse conoscersi e farsi conoscere da nessuno, senza potersi nè aiutare nè difendere.

A tal proposito, gli scritti danno l'impressione di non sapere la differenza tra ciò che è bello e ciò che è brutto, tra la giustizia e l'ingiustizia, infatti, le parole possono essere facilmente male interpretate.
L'unico modo per fare filosofia e cercare la verità è tramite l'oralità: la memoria e il dialogo sono sempre vivi e fecondi, poiché, contrariamente alla scrittura, possiedono le cose di cui parlano. Dunque, la filosofia vive solo grazie alla memoria attiva e allo scambio orale.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Le immagini delle parole - Storie di mondi interiori

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Informazioni tesi

  Autore: Margherita Airaghi
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2022-23
  Università: Accademia di Belle Arti
  Facoltà: Scenografia
  Corso: Scenografia
  Relatore: Margherita Palli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 59

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