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Fenomeni migratori e sottosviluppo

La crisi identitaria dell’Occidente tra accoglimento e respingimento

I recenti attentati di matrice islamica in Europa, concentrati in Francia e in Germania, e l’incremento dei flussi migratori diretti, tramite l’Italia, verso il centro dell’Europa, stanno sempre più hanno cambiando l’approccio del mondo occidentale verso il fenomeno immigratorio. Per molti economisti la crisi economica, che ha provocato il calo demografico e l’impoverimento dei ceti medi, potrebbe portare a quella che viene definita una vera e propria stagnazione economica; provocando, come sta avvenendo ormai da molti anni, il rifiuto da parte di settori sempre più ampi delle popolazioni, all’inclusione nella comunità nazionale dei migranti, al fine di evitare la riduzione dei livelli di welfare nazionali.
Conseguentemente in Europa si stanno sviluppando movimenti che vedono l’immigrazione come un pericolo e non come un’opportunità. Ad esempio in Gran Bretagna il 47% dei sostenitori della “Brexit” hanno ritenuto l’immigrazione, in massima parte proveniente da paesi comunitari, come un attacco al benessere economico dei cittadini inglesi, malgrado molti studiosi avessero cercato di dimostrare il contributo fornito dagli immigrati alla ricchezza nazionale e alla riduzione del costo della sanità e delle pensioni, con relativo calo della pressione fiscale.

Tale fenomeno, però, non riguarda solo l’Europa, infatti negli Stati Uniti Trump ha fondato gran parte della sua campagna elettorale sulla proposta impedire l’accesso nel paese a coloro che venivano dal Messico e dall’America latina attraverso la costruzione di un vero e proprio muro. La proposta di Trump trova il suo fondamento nella teoria del pericolo di una eccessiva “ispanizzazione” dell’America a scapito delle sue radici storico culturali angloprotestanti, tale tesi è stata da ultimo sostenuta da Samuel P. Huntington, Prof. alla University of Harvard nonché Consigliere politico e militare dell’Amministrazione Carter, nel suo volume del 2004 “Who are we? The challenge to American’s national identity”. La diffidenza e l’ostracismo nei confronti dei migranti, tuttavia, non hanno solo ragioni di natura economica poiché il senso di paura che pervade l’opinione pubblica occidentale scaturisce anche dal presunto legame tra i numerosi attentati di matrice islamista che sono stati compiuti sia in Europa che nel resto del mondo e l’immigrazione clandestina.
Il fenomeno migratorio da sempre è percepito come una minaccia, poiché rappresenta uno degli esempi più estremi di incontro con l’altro, portatore di cultura e di religione differenti; il migrante è quindi l’altro per eccellenza, addirittura l’altro a casa propria.

Secondo Buzan la migrazione può essere facilmente percepita come una minaccia alla sicurezza della società in quanto gli immigrati, provenienti da altre culture e tradizioni potrebbero alterare, finanche portare alla dissoluzione, dell’identità del gruppo sociale. Il concetto di “sicurezza societaria”, sviluppato da Berry Buzan, ha a che fare con la sopravvivenza dei caratteri tradizionali (lingua, cultura, religione, identità nazionale) di una certa società.
Come abbiamo cercato di delineare nelle pagine precedenti di questo lavoro la tendenza all’accoglienza, che nella nostra società era fino a poco tempo fa assolutamente prevalente, ora appare invece minoritaria, poiché anche coloro che, che a prescindere dall’inasprirsi del pericolo terrorismo, percepivano l’immigrazione come un possibile effetto benefico per la nostra economia, stanno cambiando idea.
Tale tendenza deriva, come sottolineato da una parte della dottrina, dall’assunto che i fenomeni migratori non possono essere fattore di sviluppo per i paesi come il nostro, a causa dell’incapacità dimostrata dal nostro sistema di garantire un lavoro adeguato
qualitativamente a chi vorrebbe trovare un’occupazione.

A tale proposito le statistiche sono chiare: non solo conviviamo da tempo con una disoccupazione elevata, superiore al 10%, con picchi tra i più giovani che localmente raggiungono anche il 40%, ma la difficoltà di trovare un impiego è tale che l’Italia si distingue in negativo dai suoi partner europei anche per il basso tasso di occupazione della sua popolazione. Nell’Europa centro-settentrionale la situazione è stata a lungo differente: per decenni le grandi multinazionali hanno infatti generato occupazione eccedente le potenzialità demografiche interne, anche a causa dei luttuosi eventi legati ai tragici eventi della seconda guerra mondiale.
Le donne non sono state parte attiva dei processi produttivi e nei decenni scorsi vi è stato un massiccio inserimento di manodopera straniera nelle fabbriche e nelle attività pesanti come quelle estrattive.
In pratica, pur a fronte di un generale stato d’animo ostile nei confronti delle migrazioni di massa, nel nostro Paese il contesto è diverso sia per le ragioni economiche appena delineate che per la tipologia stessa di flussi migratori cui ci si viene a confrontare provenienti dal continente africano.

Gli stessi migranti che sbarcano sulle nostre coste utilizzando il Canale di Sicilia sono destinati a raggiungere altri luoghi per ricongiungersi con le famiglie o cercare opportunità di lavoro. Spesso, però, gli immigrati introdottisi clandestinamente e bloccati alle frontiere dalle politiche restrittive di Francia, Austria e dei Paesi dell’ex Europa dell’Est, restano nel nostro Paese ed entrano in competizione con gli italiani per svolgere i lavori più pesanti e meno tutelati; quando poi non finiscono nelle mani della criminalità che li sfrutta come manovalanza, o vengono ingaggiati nei cantieri edili o nei campi di pomodori e di meloni da caporali senza scrupoli che li sfruttano per pochi euro. Purtroppo, se ne incontrano proporzionalmente ancora di più nelle nostre carceri, dove i detenuti immigrati rappresentano ormai circa il 30% del totale: 18.166 su 54.072 complessivi a giugno 2017 secondo i dati forniti dal Ministero della Giustizia. Tali circostanze innescano ed alimentano tensioni sociali, se non addirittura vere e proprie reazioni xenofobe di chi teme per la propria sicurezza e non comprende per quali ragioni lo Stato spenda risorse per l’accoglienza, quando tanti italiani si trovano in condizioni disagiate ed esistono più di quattro milioni di italiani che vivono in condizioni di povertà assoluta.
In tempo di crisi i teorici del respingimento non accettano che l’accoglienza dei migranti implichi dei costi che sottraggono risorse altrimenti allocabili ai servizi di cui si potrebbe beneficiare più facilmente o più a buon mercato.
Nell'epoca del terrorismo globale l'approccio securitario al problema delle migrazioni viene declinato sotto un ulteriore aspetto: fra il grande carico di disperati che si imbarca dall'Africa è possibile che si infiltrino dei potenziali terroristi, introducendosi indisturbati all'interno dei nostri confini.

Se il terrorismo, ormai diffuso su scala globale, è connesso inscindibilmente con il fanatismo religioso, nelle controversie sulle politiche migratorie la religione finisce per assumere un ruolo duplice. La religione cristiana, maggioritaria in Europa con le sue principali confessioni (cattolica e protestante), da una parte, fa da elemento portante della cornice ideologica delle destre identitarie, che ne fanno un elemento di coesione nazionale e di imprescindibile differenza verso l'esterno; dall'altra, è costante l'invito alla solidarietà cristiana e all'attenzione verso i deboli: scopo principe di una Chiesa “povera per i poveri”, secondo le parole del capo della Chiesa cattolica, Jorge Maria Bergoglio – Papa proveniente, anch'egli come i migranti, da una realtà extra-europea – che ha scelto, non a caso, il nome di Francesco.

Il melting pot per i teorici del respingimento non è il principio organizzatore intorno al quale si sono costituiti gli Stati europei che hanno visto consolidarsi una logica opposta di autoaffermazione nazionale.
In Italia, però, resiste ancora una forte base fatta di associazioni no profit, società civile, educatori, ONG e Chiesa Cattolica dedita alle politiche di accoglimento e impegnata a diffondere le buone ragioni delle politiche di integrazione.
Dai rapporti della Caritas Italiana e della Fondazione Migrantes emerge che nel 2015 178.000 cittadini stranieri hanno acquisito la cittadinanza italiana, mentre oltre 800.000 nuovi studenti nelle nostre scuole hanno permesso di salvare, soprattutto nei piccoli centri, 3000 classi e 35.000 posti di lavoro degli insegnanti.
I migranti dal punto di vista demografico rappresentano una risorsa per un Paese altrimenti destinato a spegnersi inesorabilmente (+ 60.000 il rapporto tra decessi e nascite sempre nel 2015). Mentre ormai il 19% delle nascite avviene in una famiglia e in una coppia di persone immigrate. Sono oltre un milione e 100 mila i minori immigrati, di cui 650 mila quelli nati in Italia, forza lavoro che può contribuire al rilancio economico del Paese ed anche ad una vera integrazione culturale.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Fenomeni migratori e sottosviluppo

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Informazioni tesi

  Autore: Roberto Cefalo
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2016-17
  Università: Università degli Studi Niccolò Cusano - Telematica Roma
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze politiche e delle relazioni internazionali
  Relatore: Giuseppe Terranova
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 74

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