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Quaderno di tendenza: analisi dei processi di previsione delle tendenze.

La crisi del ''Made In''

L’espressione “Made in Italy” rimanda all’idea di qualità, a prodotti ricercati, belli e di una sartorialità unica; validi per materiali, design, lavorazione, know-how incorporato.
Evoca soprattutto il concetto di creatività, l'elemento che dovrebbe sempre più “fare la differenza” rispetto ai concorrenti, giustificando i prezzi superiori vista la superiore capacità aziendale di trovare soluzioni alternative a quelle proposte da altri. Di fatto, finora non è stato difficile per molte imprese del sistema Italia, specialmente per quelle inserite in distretti, che con la loro logica ed organizzazione, aiutano le piccole eccellenze a inserirsi nella rete del lavoro con poche risorse.
Purtroppo, negli anni della globalizzazione imperante, il “Made in” ha subito un radicale cambiamento di significato economico e culturale, assistendo alla progressiva erosione della sua connotazione di identità territoriale e convertendosi in un’opzione organizzativa più o meno casuale all’interno di una complessa filiera geograficamente diffusa. Per anni i guru del marketing hanno tuonato che la denominazione di origine geografica doveva essere rimpiazzata dal brand aziendale come unica garanzia di qualità: in pratica, doveva a tutti i costi avvenire il passaggio dal “Made in” al “Made by”.
La lezione di questi ultimi tempi, venuta dalla crisi economica, ha invece indotto le imprese a rivalutare il lavoro manifatturiero anche come un fattore discriminante sul mercato politico ed istituzionale: la sfida è dunque diventata quella di coniugare i vincoli di una pipe-line che impone economie di scala e rigorose razionalizzazioni produttive con il ruolo che gli Stati hanno assunto nelle politiche fiscali o di tutela dell’occupazione nazionale. Sebbene il processo di globalizzazione sia irreversibile, il Made in Italy ha dovuto reinventarsi, ponendo contestualmente un certo argine ad una più che avviata tendenza alla delocalizzazione produttiva. D’altronde, ovunque la crisi ha reso i clienti più selettivi su prezzi e qualità, per cui le aziende italiane della moda (tessile, abbigliamento, design, accessori, gioielli) hanno di fronte a sé l’imperdibile opportunità di sfruttare i valori e le competenze tradizionali del paese, a cui però devono dare nuova voce. In particolare, si deve puntare sulle imprese di alta gamma, da cui i clienti nutrono aspettative di una qualità assoluta, adottato subito,diverse strategie di comunicazione incentrate sulla celebrazione delle capacità distintive che stanno dietro il prodotto. Si veda Gucci, che ha lanciato la campagna pubblicitaria “Forever now” in cui esalta i propri artigiani come interpreti della tradizione di eccellenza fiorentina. O Dolce&Gabbana, che nei loro eventi, spesso, hanno messo in mostra immagini di mani sartoriali. Per non parlare di marchi come Brunello Cucinelli o Tod’s, che da sempre valorizzano il proprio territorio di origine con le persone che vi lavorano.
In sostanza, fare Made in Italy deve sempre più tradursi nell’offerta di valore autentico ad un cliente globale quanto mai esigente in fatto di bilanciamento di tradizione e innovazione.
Certamente restano da risolvere i due grandi problemi nazionali: quello del controllo della legalità nella moda (per evitare che la produzione sia assicurata soprattutto da laboratori clandestini) e dell’acculturamento dei giovani per poterli attrarre verso i mestieri “antichi” con proposte formative che garantiscano competenze utili e status sociale adeguato.
Il Made in Italy sta risentendo di questa crisi che stanno attraversando le aziende del mondo della moda, sia del pronto moda che l'alta gamma. Cifre e fatti parlano chiaro: -15% del fatturato (anno 2009 e 2010).
Su questo argomento sono state fatte molte analisi economiche e assemblee da parte degli enti a capo dell'economia della moda. Il presidente di Sistema Moda Italia, Santo Versace, ha riconosciuto il problema alla base: “alle aziende continua a mancare l'ossigeno del credito”; si riferisce al fatto che, le aziende italiane, sono spesso penalizzate sui finanziamenti da parte dell'Unione Europea, per la mancanza di requisiti come le dimensioni, e l'internazionalizzazione. Il calo delle vendite, è dovuto anche alla bassa tutela del nostro Made in Italy. Di fatti, gli esportatori possono permettersi di importare materiale in Italia, senza la dicitura fondamentale del “Made In”, camuffando i loro prodotti e confondendo così i consumatori.
E'proprio in virtù di questo motivo che gli imprenditori italiani insistono per avere una legge che renda obbligatoria la dicitura del “Made In” per chi importa nel nostro paese prodotti tessili dalle nazioni al di fuori dell'Unione Europea. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Quaderno di tendenza: analisi dei processi di previsione delle tendenze.

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Informazioni tesi

  Autore: Veronica Bucci
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi di Firenze
  Facoltà: Architettura
  Corso: Progettazione della Moda
  Relatore: Elisabetta Benelli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 121

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