La riforma delle imprese di Stato in Vietnam: il caso Vinashin

Nel 1997 una crisi finanziaria e valutaria di grande portata ha travolto l’Asia Orientale, intaccando le economie più dinamiche e coinvolgendo lo stesso Giappone.
Le cause che hanno condotto alla crisi sono molteplici, e spesso oggetto di controversia tra gli economisti di tutto il mondo. La crisi asiatica è stata soprattutto una crisi finanziaria con una riduzione improvvisa e massiccia di capitali provenienti dall’estero, collegata ad un deflusso rapido di capitali in fuga. La vulnerabilità dei sistemi economici locali, la cui crescita si fondava sul credito e sulla continua circolazione di capitali, si è mostrata con un tutta chiarezza, e gli elementi che avevano alimentato tale supporto sono diventati elementi di arresto a tale crescita rapida: corruzione, indebitamento delle imprese, aleatorietà del sistema legale, esposizione del settore bancario, un subdolo intreccio tra politici, imprenditori e banchieri.
Il problema si manifestò in Thailandia a metà del 1997, quando il timore che l’economia thailandese si fosse sopravvalutata e surriscaldata prese il sopravvento e comportò la fuga di capitali. Il valore del bath thailandese cadde velocemente del 20%, il peso delle Filippine seguì a ruota. In poche settimane anche il ringgit della Malesia e la rupia indonesiana iniziarono a svalutarsi. In autunno la crisi si diffuse in Asia nord-orientale.
Taiwan svalutò la sua moneta ad ottobre, dopodiché seguì la speculazione massiccia contro il dollaro di Hong Kong. Un’abbondante riserva di valuta e una buona gestione permisero alle autorità finanziarie di mantenere il valore della moneta. Per fare questo fu necessario alzare il tasso di interesse interbancario ufficiale del 300%, che comportò la caduta della borsa di Hong Kong, che perse il 25% in quattro giorni. Il won della Corea del Sud fu la vittima successiva. Sebbene gli studiosi non siano concordi relativamente alle cause iniziali che hanno scatenato la crisi, tutti sono d’accordo sull’idea che essa si sia diffusa velocemente sfruttando le condutture dell’economia globale. Stephan Haggard, professore all’Università della California a San Diego ed esperto delle economie asiatiche, spiega il contagio in questo modo:
Il processo di maggiore integrazione finanziaria ha costituito una condizione necessaria perché la crisi avesse luogo (…). Quando queste crisi iniziano in un Paese, esistono diversi canali attraverso cui possono prorogarsi ad altri Paesi, inclusi i timori di svalutazione competitiva o collegamenti finanziari di vario tipo(…). La Thailandia originò l’Indonesia e la Malesia; la svalutazione di Taiwan originò la catastrofe del mercato ad Hong Kong a fine ottobre; e tale catastrofe iniziò in Corea del Sud, che a sua volta riecheggiò per i mercati dell’Asia sud orientale alla fine del 1997.
Dopo un anno la crisi non era più “finanziaria”, ma aveva colpito l’economia reale di molti paesi, portando la “recessione”, e in alcuni casi (come l’Indonesia) la povertà e reali pericoli di distruzione del tessuto sociale. Una piccola crisi del sud-est si è fatta strada attraverso l’economia globale, tramutando il sogno asiatico in un incubo, distruggendo la valuta russa e quella brasiliana, e arrivando alla fine a mettere quasi in ginocchio l’America.
La crisi “asiatica” ha rimesso in discussione alcune nozioni fondamentali del neoliberismo globale degli anni Novanta, che ormai avevano acquistato vigore, come l’idea che i mercati, per loro natura, fossero sempre capaci di autoregolarsi. Questa infallibilità sembra venuta meno nel caso dei mercati finanziari il cui comportamento ha contribuito a esasperare e far dilagare la crisi, e a mettere in pericolo paesi.[...]