Il concetto di nazione in Ernest Renan
La conferenza del 1882: Qu’est – ce qu’une nation? e l’idea democratica di nazione
Il termine “nazione” in senso moderno, riferito cioè a una comunità che è alla base di uno Stato, era un prodotto storico abbastanza recente. Esso si affacciò nel discorso politico europeo negli anni tra il XVIII e il XIX secolo e venne definitivamente affermandosi nel dibattito teorico-politico intorno alla metà dell’Ottocento.
Tra il Seicento e il Settecento tre elementi portarono verso lo Stato-Nazione: la transizione economica verso il capitalismo e la legislazione sul commercio, l’accentrarsi del controllo amministrativo, l’integrazione culturale e la necessità da parte dello Stato di separarsi e di affermarsi sulla Chiesa. Ancora durante il XVIII secolo il termine fu usato in senso largamente generico, venendo di volta in volta associato tanto all’idea pura e semplice di gruppo, quanto a quella di qualunque tipo di comunità politica o culturale. Ciò corrispondeva peraltro alla concezione che stava alla base dello Stato assoluto e che traeva fondamento non dall’idea di nazione bensì dal principio dinastico, che garantiva la fedeltà di popoli diversi a un medesimo sovrano e quindi l’unità del regno. La situazione cominciò a cambiare nel corso del secolo, segnato dall’egemonia politica e culturale della Francia, quando negli ambienti letterari svizzeri si diffuse una concezione della nazione come realtà culturale e spirituale che caratterizzava un popolo in maniera precisa.
Negli anni del preromanticismo il filosofo tedesco J. G. Herder propose un’interpretazione della nazione, ripresa poi anche da J. G. Fichte, come una realtà unitaria in cui i caratteri fisici del territorio costituivano un tutto unico con quelli spirituali e culturali del popolo che lo abitava. La genesi del concetto di nazione in senso moderno andava ricondotta dunque, all’elaborarsi della sensibilità romantica, che presiedeva anche alla definizione dei suoi elementi costitutivi: da una parte la tradizione e la storia, dall’altra il determinismo naturalistico. Sulla compresenza di tali elementi e insieme sulla loro inevitabile contrapposizione aveva insistito sempre Chabod, segnalando la connessione del carattere della libertà con l’idea di nazione come prodotto di una riflessione storica.
Nella ricostruzione attuata dalla storiografia italiana un ruolo centrale in tal senso fu attribuito a J. J. Rousseau e alla sua teoria della “volontà generale”. Assumendo la volontà popolare a fondamento dell’idea di nazione, il pensatore genevrino non solo stabilì per primo uno stretto collegamento tra la nazione e le sue forme di organizzazione politica, ma contribuì anche a conferire alla nazione valore di progetto, quello cioè, di uno stato fondato sulla sovranità popolare: lo stato nazionale. L’acquisizione di tale nuova dimensione dell’idea di nazione maturò in pieno Ottocento quando, con l’emergere delle passioni nazionali, il termine “nazione” tese a coincidere con quello di patria e la lotta politica venne impregnandosi di una sorta di pathos religioso che le conferì carattere totalizzante. L’idea di nazione e il corrispettivo senso di identità nazionale gettarono allora radici soprattutto presso quei popoli che, come l’italiano, il tedesco, l’ungherese e il polacco, ritenevano di non essere ancora pervenuti a edificare un proprio stato nazionale.
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Informazioni tesi
Autore: | Elisa Giulia Merli |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Pavia |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Scienze politiche e delle relazioni internazionali |
Relatore: | Giovanna Angelini |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 71 |
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