Tra psicoanalisi e filosofia: Luce Irigaray e la sua concezione dell’Altro
La concezione di Luce Irigaray nell’ambito della psicologia al femminile
Se l’intento programmatico della Irigaray voleva essere, tramite l’attenta e puntigliosa disamina attuata dalle pagine di Speculum ai capisaldi della cosiddetta cultura fallocentrica, di scardinarne la stessa impalcatura filosofica e psicologica su cui essa si regge, quali le risposte del mondo intellettuale al suo attacco?
Ci si potrebbe aspettare una forte reazione da parte di quell’universo maschile, quel pensiero Unico così duramente colpito e criticato nei suoi stessi fondamenti; una reazione volta a controbattere, cercare di confutare, piuttosto che a discutere le tesi principali enunciate nel suo libro, per imostrarne errori o, nella migliore delle ipotesi, accettarne almeno in parte alcune considerazioni.
Ma, in effetti, tutto ciò significherebbe già di per sé che una delle tesi primarie dell’opera sia sbagliata, che non sia affatto vero che le due discipline in questione, rappresentanti ideali e costitutive dell’identità soggettiva contemporanea, siano colpevoli di non dialogare, di privilegiare, come modalità comunicativa, sempre e solo quella del soliloquio autoreferenziale, di chiudersi in un discorso tra “uguali” per ovviare il problema che porterebbe venire a patti con la differenza. Con l’Altro. Che, come ricorda Vegetti Finzi, “è rappresentato, in una società androcentrica, innanzitutto dall’altro sesso”.
Dunque, le reazioni, che ci sono state e sono state molte, anche oltreoceano, sono arrivate prevalentemente da esponenti femminili delle dottrine più dichiaratamente messe sotto accusa, o, quantomeno, sfidate nei propri principi base – cioè filosofia e psicologia/psicoanalisi.
Da parte del mondo maschile, invece, un prevalente e diffuso silenzio, smascherato, però, nei suoi reconditi significati di tentata – ulteriore, ripetuta – rimozione della voce Altra mai ascoltata, mai interrogata, da cui “non ci aspettiamo questo”, come direbbe Freud, da quell’agito (prendendo a prestito termini psicoanalitici) della repentina espulsione della Irigaray dalla scuola lacaniana. Un allontanamento emblematico di tutti gli allontanamenti dell’alterità, del femminile ad opera del Discorso del Medesimo, del maschile. Un tentativo di mettere a tacere che, come abbiamo già avuto modo di notare, dice molto di ciò “che non si può dire”, di quanto i temi toccati dalla Irigaray siano tutt’altro che innocui, anzi, forse, scoprano esattamente quel punto debole/dolente, quel residuo che sempre torna, quel buco nero mai fino in fondo sistematizzato che rappresenta il “tallone d’Achille”, la macchia originaria dell’altrimenti perfetto, indiscutibile, autovalidato Discorso del Medesimo, in questo caso rappresentato dall’istituzione psicoanalitica.
Non è stata questa, d’altra parte, la prima volta che il mainstream (ribattezzato ironicamente “male stream” per sottolineare la generale impostazione androcentrica della psicologia) della psicoanalisi ha applicato le regole del pensiero unilaterale bollando come novelle eretiche e scacciando dai propriranghi ufficiali donne che “osavano” dissentire o deviare leggermente dall’ortodossia della Parola del Padre – Freud.
Questa stessa sorte era già stata condivisa dall’antesignana Karen Horney, che è stata una delle prime a confutare le affermazioni freudiane sulla femminilità: non accettava in particolare la sua dichiarazione secondo cui l’anatomia è un destino. Secondo l’ottica della Horney, bisognava in realtà contrapporvi un modello esplicativo alternativo, in cui non le pulsioni ma i condizionamenti sociali e culturali giocano un ruolo determinante, poiché, in sintonia con la posizione filosofica di George Simmel, riteneva la nostra civiltà una civiltà “maschile”. In Psicologia femminile, del 1924, sostiene che la celeberrima “invidia del pene”, considerata da Freud come un dato di fatto, sia in effetti conseguenza della situazione di inferiorità sociale della donna, indotta e riconfermata da tutto il contesto ambientale che opera sul suo sviluppo. Non è inoltre d’accordo in merito al modo in cui veniva considerato il desiderio di un figlio (nonché l’esperienza del parto e dell’allattamento), come un semplice surrogato o la riparazione dell’assenza del pene, perché, secondo lei, va al contrario ritenuto un evento investito di un piacere primario da parte delle donne, e nega altresì il carattere narcisistico del desiderio femminile verso il fallo (agognato come proprio organo sessuale). Per tutta risposta, il suo “contesto ambientale”, la Società di psicoanalisi, la allontana nel 1941.
Ironicamente, come abbiamo già avuto modo di constatare, alla fine degli anni sessanta e negli anni settanta uno degli stimoli che hanno più contribuito a far rifiorire il dibattito nel seno della psicoanalisi sull’essenza della donna è stato il famoso invito di Lacan a far luce sull’inconscio femminile, rivolto a coloro che maggiormente parevano autorizzate a parlarne con cognizione di causa, ossia le “colleghe psicoanaliste”.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Tra psicoanalisi e filosofia: Luce Irigaray e la sua concezione dell’Altro
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Informazioni tesi
Autore: | Laura Ginatta |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2007-08 |
Università: | Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano |
Facoltà: | Psicologia |
Corso: | Scienze e tecniche psicologiche |
Relatore: | Roberta Corvi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 40 |
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