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Contrattualizzare la sicurezza urbana

La “Broken Window Theory” e la strategia della “Zero Tolerance”

La “teoria delle finestre rotte” è stata elaborata in origine, nelle pagine di un articolo sul Monthly Review”, nel 1982 da un criminologo e uno scienziato americani Wilson e Kelling, due studiosi per elaborare la loro teoria si sono avvalsi degli esperimenti sostenuti dallo psicologo statunitense Philip Zimbardo presso l’Università di Stanford (1969) sull’effetto psicologico che le condizioni di degrado e di abbandono di aree urbane possono scatenare nella percezione della sicurezza dei singoli individui. Più che una teoria vera e propria si tratta di un approccio sul quale si fondano numerose strategie operative per la prevenzione e il contrasto della criminalità (Amendola, 2003).
L’approccio teorico è basato sulla convinzione che quanto più un territorio sia sottoposto a semplici comportamenti “devianti”, per esempio atti d’incivilities, tanto più ci siano elevate probabilità che si verifichino atti criminali più gravi. L’ipotesi principale si basa sulla convinzione che in una strada, dove esista un edificio disabitato con un vetro rotto, se non si provveda repentinamente a ripararla, se inneschino degli atteggiamenti tipici dell’abbandono, il degrado urbano, che favoriscono il verificarsi di altri comportamenti criminali. Non solo, al di là che veri e propri atti illeciti si verifichino, il senso d’inciviltà e disordine influenza la percezione dell’insicurezza degli abitanti innescando timori e diffidenza verso gli sconosciuti se le autorità non rispondono in maniera drastica alla situazione di degrado (De Giorgi, 2000).
Più che una teoria ti stampo criminologico sembra una nozione dettata dal senso comune poiché lega tra loro normali atteggiamenti d’inciviltà al fenomeno della criminalità (Wacquant, 1999).
Nonostante le critiche, la “teoria delle finestre rotte” s’incentra sul problema dell’escalation, il degrado urbano infonde nei cittadini un senso di abbandono nei confronti delle istituzioni e questo aumenta la preoccupazione per la sicurezza legate a particolari zone all’interno dei quartieri abitati. Da un semplice vetro rotto di un edificio dismesso si può passare all’indifferenza dei comportamenti antisociali negli spazi pubblici e al timore per gli atteggiamenti adottati nelle strade pubbliche, si giunge, infine, all’isolamento delle zone considerate “pericolose” e al successivo abbandono che potenzialmente potrebbe favorire l’insediamento di attività criminali (Kelling & Wilson, 1982).
Alla base della teoria in esame vi è la convinzione che il modo più efficace per prevenire il verificarsi dei fenomeni criminali sia quello del massiccio del controllo del territorio, della repressione delle illegalità, in una parola, del potenziamento della prevenzione (Gladwell, 2000). Bisogna intervenire e dissimulare tutti quegli atti, quelle condizioni, quei comportamenti sociali che possano potenzialmente favorire l’innesco di culture criminali.
Dai muri imbrattati dai writers fino ad arrivare alla presenza di clochard per strada o di lavavetri ai semafori, tutto può contaminare l’ordine della convivenza urbana (Fenech, 2001). È compito della polizia decidere quali siano i casi potenzialmente turbativi dell’equilibrio civico, ciò è possibile grazie all’approntamento di un approccio sempre più vicino alle sensazioni dei cittadini.
In realtà, la “teoria dei vetri rotti” ha ottenuto molto successo nelle amministrazioni locali statunitensi degli anni novanta in seguito dell’avvento strategico della “Zero Tolerance” adottata come slogan, inizialmente, dall’amministrazione Reagan durante la campagna antidroga negli Usa (De Giorgi, 2000). Il principio alla base di questa strategia è la repressione di qualsiasi comportamento che possa turbare la convivenza cittadina e consolidare degli atteggiamenti potenzialmente criminali. La parola d’ordine, in questo caso è indiscriminazione nella soppressione degli atti illeciti, da quelli meno gravi fino ad arrivare a reati veri e propri, vengono così favoriti interventi perentori a discapito del pattugliamento di zona da parte della polizia e dei rapporti con i cittadini (Wacquant, 2000).
L’impostazione così esposta della “Tolleranza zero” si basa soltanto in parte sulla “Broken Window Theory”, di essa interpreta soltanto la strategia preventiva di controllo del territorio ricorrendo all’intervento duro e repressivo della polizia (Rochè, 2002).
Obiettivamente Wilson e Kelling avevano inteso diversamente il controllo preventivo, la loro teoria è risultata essere innovativa, in criminologia, perché mira a rivalutare il ruolo del cittadino e della sua collaborazione con le forze dell’ordine, il cui compito non è solo quello di reprimere comportamenti criminali, ma di garantire la pacifica convivenza sociale ricorrendo soprattutto alle pattuglie appiedate.
La retorica politica della “Zero Tolerance” ha accentuato soltanto una parte del problema legato alla sicurezza urbana trascurando un elemento più importante che può essere considerato come la causa principale del fenomeno criminalità: la rivalutazione sociale e urbana (Wacquant, 2000).
Nonostante siano state considerate dagli autori della “teoria dei vetri rotti”, i problemi della devianza sociale e dell’urbanistica in materia di sicurezza sono stati semplicemente ignorati (Fenech, 2001). Inoltre, deve essere presa in considerazione l’impostazione unicomprensiva di tale strategia fondata semplicemente sulla repressione di qualsiasi crimine ignorando il rapporto non direttamente proporzionato tra reati commessi e percezione dell’insicurezza, è quest’ultima che condiziona le preoccupazioni dei cittadini più dell’atto criminale commesso (Amendola, 2003).
Le maggiori critiche sostenute contro la “strategia della tolleranza zero” riguardano l’insostenibilità dei programmi nel lungo termine a causa della necessità di numerose risorse sia di agenti per il controllo del territorio sia di natura tecnica per supportare e consentire l’intervento efficace delle pattuglie. Nonostante il ricorso al nuovo modello abbia favorito un ammodernamento delle strutture della polizia, riducendo, ad esempio, le dinamiche più propriamente riconducibili alle pratiche burocratiche favorendo una impostazione manageriale e tecnologicamente avanzata, si ritiene che non venga supportato alcun intervento di problem solving, ma più propriamente si tendano a colpire le classi medio-basse che meno influiscono sulle amministrazioni che adottano questo tipo di politiche (Wacquant, 2000).

Questo brano è tratto dalla tesi:

Contrattualizzare la sicurezza urbana

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Informazioni tesi

  Autore: Giuseppe Paolone
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Firenze
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze Politiche
  Relatore: Andrea Lippi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 283

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