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La comunicazione non verbale in carcere. Il caso dei mafiosi

L'evoluzione del gergo mafioso

L'evoluzione del linguaggio umano è uno dei punti chiave per lo sviluppo delle facoltà intellettive umane, permette infatti di stabilire stati d'animo e pensieri. Generalmente i gerghi servono all'arricchimento dell'immagine fonica che la lingua di cultura non sempre può soddisfare ed anche per esprimere, in un codice a volte effimero, le trasformazioni e le contaminazioni che la lingua predominante subisce nel tempo.I gerghi, solitamente, sono linguaggi che fanno parte di un determinato gruppo, che adopera espressioni convenzionali carichi di forte significato traducibili solo da chi fa parte del gruppo. Un linguaggio in codice, quindi, aumenta il senso di appartenenza ad una specifica organizzazione. I gerghi più noti sono quelli creati dai gruppi giovanili, dai politici, dai militari e soprattutto quelli della malavita, che nascono, con il preciso scopo di garantire la segretezza delle comunicazioni (di qui il forte impiego delle espressioni metaforiche: palo per complice, cantare per confessare, dritta per informazione giusta…). Il gergo delle cosche mafiose, avendo come scopo esclusivo quello della segretezza, è il più ermetico, compatto e stabile. In questi ambienti la sola parola “uccidere” ha un'impressionante varietà di espressioni: astutàri (spegnere), attumullàri (seppellire), 'ncasciàri (chiudere nella cassa da morto), addummìsciri (addormentare), aggiuccàri (piegare), asciucàri (asciugare)... Al gergo della malavita sono poi attribuibili talune parole di varia estrazione regionale: caramba (carabiniere), pula (polizia), buiosa (cella), scapuzzador (assassino), ruffante (borsaiolo), casché (borseggio), cravattaro (usuraio), berta (pistola), du' botti (due colpi di lupara), mammasantissima (Mafia), gravigghia (accolta di mafiosi), cacocciula (persona che si da arie di appartenere a una cosca mafiosa), piveddu (giovane recluta della mafia, soldato, pivello), zampugnaro (chi uccide con la lupara). Normalmente i termini gergali non malavitosi, quando escono dall'ambito del gruppo in cui sono usati, tendono ad essere utilizzati solo a livello scherzoso-familiare e per lo più sono presto dimenticati e superati da termini nuovi. Per loro stessa natura, di linguaggi tipici di gruppi in continua evoluzione, questi gerghi sono, per così dire, generazionali e hanno una diffusione circoscritta a un territorio abbastanza limitato.Il linguista italiano Graziadio Isaia Ascoli, definì il gergo usato nelle società, “furtiva creazione dell'ingegno umano”. Questo gergo, presente da secoli anche nella malavita siciliana, prende il nome convenzionale di baccagghiu. Ferrero, uno degli studiosi più qualificati del fenomeno dell'evoluzione linguistica della mala, afferma a proposito di baccagghiu che esso è costituito da un lessico interregionale, che stabilisce un immediato contatto professionale tra i delinquenti delle varie regioni e che, essendo un linguaggio vivo, è in perenne mutamento in quanto si tratta di un composto organico quasi inafferrabile nella sua mutevolezza. Il baccagghiu, diffusosi nel passaggio da mafia rurale a cittadina, è riscontrabile in Sicilia dal Settecento fino a buona parte del Novecento; causa la diffusione internazionale della mafia, questo linguaggio viene soppiantato dal mafiese. Il baccagghiu, era soprattutto un gergo di ladri, di borsaioli e di sfruttatori, il mafiese, è gergo di trafficanti internazionali di armi, droghe, uomini, di speculatori di ogni genere.

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La comunicazione non verbale in carcere. Il caso dei mafiosi

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Informazioni tesi

  Autore: Aurora Pierro
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi dell'Aquila
  Facoltà: Scienze della Formazione
  Corso: Scienze e tecniche psicologiche
  Relatore: Piero Dominici
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 125

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Parole chiave

comunicazione
devianza
mafia
marginalità
collaboratori di giustizia
prigione
carcere
camorra
'ndrangheta
detenuti
cosa nostra
sacra corona unita
internato
gergo mafioso
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