La confessione dell'imputato
L'estorsione della confessione. Induzione alla collaborazione dell'imputato nel paese dei "Miranda Warnings".
Il motivo per cui abbiamo scelto di far riferimento, in questo paragrafo, alle modalità con cui l'interrogatorio del sospettato viene condotto dalla polizia negli Stati Uniti è di ordine pratico: in relazione allo stesso argomento, infatti, non esistono documentazioni e studi simili nel nostro Paese, in cui semmai, soprattutto di recente, si assiste ad una divulgazione senza precedenti del contenuto delle audizioni del sospettato in sede di indagine, non accompagnata però da alcuna seria analisi giuridico-criminologica circa le modalità acquisitive di tali dichiarazioni e circa il percorso psicologico del soggetto interrogato.
Nella letteratura giudiziaria dei paesi di common law, al contrario, le trattazioni sulle modalità di svolgimento degli interrogatori di polizia, sui limiti e le strategie accettabili, sulla convenienza o meno dell'obbligatorietà dei Miranda Warnings, e su molti altri aspetti criminologici riguardanti il problema delle confessioni estorte o non veritiere sono davvero innumerevoli e di grande interesse. La finalità di molte di queste opere, peraltro, è tutt'altro che astratta: in molti casi, infatti, si tratta di guide metodologiche destinate a indirizzare concretamente il comportamento degli organi inquirenti durante gli interrogatori, come accade in Inghilterra con i Codes of Practice.
Ciò che possiamo fare, dunque, è ipotizzare che, come la naturale propensione alla confessione supera i confini degli ordinamenti nazionali, accomunando gli uomini di più paesi, così diffusa sia anche la tendenza degli inquirenti ad assumere determinate condotte nel corso degli interrogatori, al fine di indurre l'indagato alla maggiore collaborazione possibile con la giustizia.
Dalla metà del diciannovesimo secolo agli anni '30 del Novecento, la condotta della polizia statunitense in sede di interrogatorio è stata caratterizzata dall'adozione, in molti casi, del metodo del cd. terzo grado (third-degree), consistente nell'inflizione di dolore o sofferenza fisica e psicologica nell'interrogato allo scopo di provocare la sua confessione o la rivelazione di qualsiasi informazione utile allo svolgimento delle indagini.
Fra le forme di violenza predilette rientravano l'inflizione di dolore fisico attraverso le percosse (spesso inflitte con un tubo di gomma), la tortura (praticata, ad esempio, immergendo la testa del soggetto in acqua quasi fino a simularne il soffocamento, praticando bruciature sul suo corpo con l'ausilio di sigarette accese o attizzatoi roventi), il prolungato isolamento dell'interrogato, la privazione da sonno, cibo, e altri bisogni fisiologici, la sottoposizione del soggetto a stimoli sensoriali insopportabili (costringendolo a stare ore in piedi, puntandogli una luce accecante in volto), le ripetute minacce di violenza fisica.
Questa forma di estorsione violenta di dichiarazioni dall'indagato è stata progressivamente abbandonata nel corso del ventesimo secolo e sostituita, dall'inizio degli anni '60 in poi, da una forma di interrogatorio maggiormente incentrata sull'uso del poligrafo (lie detector) e di strategie psicologiche finalizzate alla collaborazione, tanto da spingere la President‘s Commission on Criminal Justice and the Administration of Justice, nel 1967, ad affermare che «al momento attuale il metodo del terzo grado deve essere considerato non più esistente», e la Corte Suprema, nella sentenza Miranda v. Arizona (1966), che la tecnica psicologica di audizione fosse da considerare ormai obbligatoria, in quanto fondata, più che sulla coercizione fisica, «su una pressione contenuta, sulla manipolazione, sull'imbroglio e sul raggiro dell'indagato».
Nonostante questa inversione di tendenza, l'aspetto problematico dell'interrogatorio sul modello statunitense continua a permanere, laddove, nell'iter delle indagini, il momento dell'audizione del sospettato si colloca solo a seguito di un'ampia investigazione finalizzata a individuare il soggetto a carico del quale si riscontrano maggiori indizi di colpevolezza. L'interrogatorio vero e proprio, perciò, avverrà quando il sospetto di colpevolezza si sia già concretizzato in capo ad una determinata persona, così che la sua audizione, lungi dall'essere finalizzata a discernere se il soggetto sia colpevole o innocente, sarà volta esclusivamente a ottenere dall'interrogato «dichiarazioni autoincriminanti, ammissioni, o una vera e propria confessione», in modo da accrescere le possibilità di ottenere una sentenza di condanna nei suoi confronti.
Per raggiungere questo scopo, la polizia utilizza una procedura variabile, che comporta l'adozione di diverse tattiche. In primo luogo, gli investigatori provvedono a isolare il soggetto in piccole stanze riservate, per incrementare il suo livello di ansia e claustrofobia. In seguito, l'autorità interrogante segue un iter composto da nove fasi (cd. Reid technique), nel corso delle quali dovrà assecondarsi la duplice tendenza di fornire incentivi sia negativi sia positivi all'interrogato: da un lato, perciò, l'autorità interrogante dovrà porre il soggetto davanti ai capi d'accusa contestati, elencandogli le eventuali prove a carico, reali o create ad arte, e rifiutandosi di accettare qualsiasi alibi o smentita; dall'altro lato, la medesima autorità dovrà mostrare comprensione e giustificazione morale per l'interrogato, cercando di minimizzarne la condotta criminosa e prospettando la confessione come unico mezzo per ottenere nuovamente la libertà.
Questo brano è tratto dalla tesi:
La confessione dell'imputato
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Informazioni tesi
Autore: | Martina Righetti |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Libera Univ. degli Studi Maria SS.Assunta-(LUMSA) di Roma |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Paola Spagnolo |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 228 |
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