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Lucio Fontana scultore nella Milano degli anni Trenta

L'esordio milanese: ''novecento'' e il periodo classico

«Sono a Milano da pochi giorni e già mi sento rinascere a nuova vita, mi ritrovo fra la mia gente ove ho trascorso gli anni più belli della mia gioventù».

Lucio Fontana era già entrato a contatto con l'ambiente milanese ben prima del 1927, anno in cui abbandona l'Argentina per trasferirsi nel capoluogo lombardo. Aveva visto Milano per la prima volta nel 1906, a sette anni nel 1914 vi si era stabilito per un periodo con i genitori, e qui era stato avviato agli studi nel campo dell'edilizia per volontà del padre.

L'anno successivo, la partecipazione alla prima guerra mondiale aveva segnato un'interruzione negli studi, ripresi e conclusi al termine del conflitto con un diploma di perito edile. Nella metà del 1927 rientra a Milano, e vi rimarrà fino al 1940. «Julio abbandona questa terra, vieni a vedere cos'è la vita, in queste notti pensando ai miei sei anni in America mi viene voglia di piangere, vieni a vedere come vive la gente e vivi la vita», scrive Fontana all'amico e pittore Julio Vanzo nel 1927.

Il clima artistico rosarino si era infatti rivelato troppo chiuso e provinciale, non più adatto al ventottenne Fontana, desideroso di espandere ulteriormente i propri orizzonti proseguendo la propria formazione lontano dall'infuenza del padre il quale, al contrario, avrebbe voluto per lui un futuro stabile in Argentina. Il figlio, tuttavia, sin da ragazzo insofferente verso qualsiasi idea di stabilità e mosso dalla necessità «di trovare una strada radicalmente nuova», si priva, partendo per l'Italia, di ogni comodità, dando così inizio alla fase più fertile della propria carriera.

Quando giunge a Milano, Fontana è già, di fatto, uno scultore professionista. Qui egli entra subito a contatto con l'ambiente artistico della Biennale di Brera, dove lui stesso esporrà (nel 1928 o 1929), e dove quell'anno esponevano, per la scultura, alcuni tra i protagonisti della nuova generazione di Novecento: movimento, in questi anni, di primo piano non solo per la cultura artistica milanese, ma per quella dell'Italia intera. Vitaliano Marchini, Romolo Del Bo, Ivo Soli, Leone Lodi, Angelo Bertolazzi, Filippo Tallone guardavano alle formule dei maestri della generazione precedente, in particolare Mario Sironi e Carlo Carrà, la cui pittura ''plastica'', unita alla resa primitivistica ed essenziale della figura umana, costituiva la più importante lezione di Novecento.

Nonostante l'iniziale indifferenza di Fontana nei confronti della scultura novecentista – definirà le sculture esposte alla Biennale come «una vera delusione, niente di originale, una riproduzione» –, egli ne sarà in un secondo momento influenzato e, anche se piuttosto circoscritta, tale influenza costituirà quello che Edoardo Persico definisce il suo periodo classico.

In quello stesso 1927, Fontana si iscrive al corso di scultura dell'Accademia di Brera, dove già aveva studiato il padre, e contemporaneamente frequenta la Scuola del Marmo. L'anno precedente la cattedra di scultura era stata assegnata ad Adolfo Wildt: personalità del tutto eccezionale nel clima artistico milanese di quel periodo, nonché uno dei maggiori scultori europei a cavallo tra XIX e XX secolo, Wildt è per Fontana «meravilloso» e rappresenterà per lui, in questo primo periodo di attività a Milano e come rilevato da Edoardo Persico, uno dei più importanti punti di riferimento. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Lucio Fontana scultore nella Milano degli anni Trenta

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Informazioni tesi

  Autore: Alice De Luca
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2019-20
  Università: Università degli Studi di Parma
  Facoltà: Beni culturali
  Corso: Beni Artistici e dello Spettacolo
  Relatore: Cristina Casero
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 55

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Parole chiave

novecento
scultura
storia dell'arte
arte contemporanea
anni trenta
lucio fontana
università degli studi di parma

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