Lodo Alfano: problemi di costituzionalità
L'approvazione della legge n.140/2003 e la teoria ''giustificazionista''
Per quanto riguarda la ratio della normativa de qua, nulla si può rinvenire nella relazione al ddl Boato, dal quale ha avuto origine la l. 140/2003, dato che l'introduzione del c.d. "lodo Schifani" si ebbe successivamente con un emendamento. L'orientamento dottrinale e politico favorevole allo "scudo" processuale si sviluppò nel corso della approvazione della legge e ulteriormente in seguito, in sede giudiziale (in specie, nelle tesi sostenute nelle memorie dell'Avvocatura dello Stato e della difesa tecnica dell'on. Silvio Berlusconi, nel corso dello scrutinio di legittimità dell'art.1 della legge 140/2003); naturalmente tale orientamento tendeva soprattutto a sostenere la legittimità costituzionale del provvedimento, più che la sua condivisibilità nel merito, non essendo ascrivibile al giurista una valutazione di merito, riservata invece alla discrezionalità del legislatore e all'ottica delle scelte strettamente politiche. Sembra opportuno rilevare che questa teoria, che abbiamo chiamato "giustificazionista", al pari della avversa teoria "antagonista", ha assunto ben presto i caratteri di un testo argomentativo, cioè di quel particolare modo di ragionare che, mediante elementi di diritto positivo, di fatto, di autorità, e di contraddizione della tesi opposta, vuole dimostrare la maggior fondatezza e condivisibilità (dal punto di vista giuridico, e prima ancora logico) dell'una a scapito dell'altra. La ratio del lodo Schifani, secondo la difesa dell'on. Berlusconi, era quella di "salvaguardare le più alte cariche dello Stato, durante lo svolgimento del mandato, dagli inevitabili turbamenti conseguenti all'esercizio di ogni azione penale"; non sono tuttavia mancate altre interpretazioni: salvaguardia del semestre di presidenza del Consiglio UE, tutela del prestigio delle istituzioni, continuità nell'esercizio delle pubbliche funzioni, protezione delle cariche apicali da strumentali e politicizzate interferenze della magistratura, rispetto della volontà popolare espressa con il voto, garanzia della concentrazione del processo penale.
1). Per quanto riguarda gli elementi di diritto positivo su cui si basa la teoria si faceva rilevare che l'istituto della sospensione era già previsto, in diverse ipotesi, dalla legge processuale penale e non si vedeva la necessità di adottare una legge costituzionale in materia di sospensione solo perché riguardante le "alte cariche". In seconda battuta non c'era alcun contrasto con gli artt.90 e 96 Cost. riguardanti i reati funzionali, fatti espressamente salvi dalla normativa de qua, relativa invece ai soli reati extrafunzionali. Il silenzio della Carta costituzionale in materia di reati extrafunzionali (comuni) andava interpretato non nel senso di vietare l'intervento di una legge ordinaria, bensì di permetterlo, purché in modo ragionevole. In terzo luogo si riteneva che la normativa in questione non fosse irragionevole, e quindi non violasse l'art.3 Cost. sotto tale profilo, perché i giudici costituzionali hanno costantemente sostenuto che, se situazioni uguali richiedono uguale disciplina, situazioni diverse possono giustificare diversi trattamenti diversi, e ravvisava una sostanziale diversità tra un comune cittadino ed un soggetto che ricopre una delle alte cariche dello Stato. Era portata a sostegno di questa tesi la succitata norma prevista dall'art.205 c.p.p. sulla assunzione della testimonianza di Presidente della Repubblica e di altri alti ufficiali; tanto più che tale norma non è mai stata ritenuta incostituzionale. In quarto luogo si faceva notare che l'art.68 Cost. non sarebbe stato violato dalla normativa in esame perché questa non introduceva una vera immunità ma una mera sospensione processuale, che avrebbe soltanto "spostato" a fine mandato la perseguibilità dell'illecito extrafunzionale. Poiché dunque non c'era un collegamento con le attribuzioni costituzionali dell'organo si argomentava per l'infondatezza della necessità di una legge costituzionale. La indisponibilità, automaticità, la reiterabilità della sospensione, accompagnate dalla sospensione della prescrizione ex art.159 c.p. erano necessitate dal fatto che si trattava di una protezione a tutela della funzione pubblica, e non della persona ricoprente la carica pubblica.
2). Per quanto attiene agli elementi che potremmo chiamare "di fatto", tra cui quelli di autorità, la teoria giustificazionista faceva affidamento sul fatto che il Presidente della V sez. penale della S.C. di cassazione, di fronte ad un processo che vedeva coinvolto l'allora Presidente del Consiglio on. Berlusconi, non aveva dubitato della costituzionalità della normativa, dando atto della immediata applicabilità delle disposizioni della legge 140/2003. Secondo elemento di autorità che è stato sostenuto a favore della costituzionalità del lodo Schifani è stato il fatto della promulgazione della legge da parte dell'allora Presidente della Repubblica Ciampi. Secondo quanto previsto all'art.74 Cost. infatti, ove il Capo dello Stato avesse dubitato della conformità a Costituzione della legge, avrebbe potuto rinviarla alle Camere per un nuovo esame. Spetta al Capo dello Stato il potere di rinvio per motivi di legittimità o di "merito costituzionale", cioè in quei casi in cui si ravvisi che una legge possa turbare il funzionamento delle istituzioni o gli equilibri sui quali si regge l'ordinamento complessivo. Si dice che il Presidente Ciampi non abbia rinviato la legge alle Camere nonostante gli appelli a non firmare il testo, motivati da politici e da una parte della comunità scientifico-giuridica, e ciò renderebbe ancora più persuasivo l'argomento del mancato rinvio. In terzo luogo le tesi giustificazionista adduce una storica sentenza della Corte costituzionale, la n.148 del 1983, assumendola come vero e proprio "precedente" a favore della costituzionalità dell'art.1 della legge 140/2003. Tale pronuncia aveva ad oggetto l'articolo 5 della legge 3 gennaio 1981, n.1 ("Componenti del Consiglio superiore della magistratura: non punibilità per le opinioni espresse nell'esercizio delle loro funzioni e concernenti l'oggetto della discussione"), la quale prevedeva una scriminante a favore dei membri del C.S.M. che passò indenne al giudizio di costituzionalità. In particolare un passaggio del "Ritenuto in diritto" della citata sentenza dice che: "[…]Ben altro é invece il caso delle cause di non punibilità, stabilite in vista dell'esercizio di determinate funzioni.
Norme siffatte abbisognano di un puntuale fondamento, concretato dalla Costituzione o da altre leggi costituzionali; ma non é indispensabile, ad avviso della Corte, che il fondamento consista in una previsione esplicita. All'opposto, il legislatore ordinario può bene operare in tal senso al di là delle ipotesi espressamente previste dalle fonti sopraordinate, purché le scriminanti così stabilite siano il frutto di un ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali in gioco." Di conseguenza la difesa dell'on. Berlusconi aveva rilevato che la Corte costituzionale, sostenendo la legittimità dell'art.5 legge 1/1981, avrebbe dovuto considerare tale pronuncia come un precedente nel senso favorevole alla sospensione processuale poiché tale legge aveva introdotto una causa soggettiva di non punibilità "ben più pregnante ed incisiva sulla giurisdizione che non una mera sospensione". Ulteriore elemento di autorità in favore della legge 140/2003 fu ravvisato nella interpretazione favorevole del precedente costituito dalla sent.148/1983 data dall'ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che aveva implicitamente reso noto che, se fosse stato ancora Capo dello Stato, avrebbe certamente promulgato senza rinvio la legge 140/2003. L'autorità di un ex Capo dello Stato si misura pensando al ruolo che spesso gli ex Presidenti hanno spesso avuto, nella vita istituzionale dello Stato, ad esempio in sede di consultazione del Capo dello Stato per attribuire l'incarico di formare l'esecutivo. 3). Oltre a tutti questi argomenti, di diritto e di fatto (tra cui, quelli di autorità) un ultimo argomento fa diretto riferimento alla ratio della normativa, già indicata dal legislatore e dalla difesa della parte privata nella garanzia del "sereno svolgimento delle funzioni inerenti le alte cariche"; la tesi giustificazionista poneva l'attenzione sulla distinzione tra reati c.d. funzionali e reati c.d. extrafunzionali (e prefunzionali). Mentre per il primi gli artt.90 e 96 Cost. non ammettevano alcuna sospensione per la gravità intrinseca, dal punto di vista istituzionale, degli illeciti, e quindi non tollerava il procrastinare a fine mandato la loro perseguibilità, nel caso dei reati extrafunzionali, nel bilanciamento degli interessi contrapposti, sarebbe stato preminente l'aspetto istituzionale e di conseguenza "cedevole" quello degli altri interessi coinvolti, per i quali sarebbe stato sempre possibile procedere giudizialmente al termine del mandato. Le conclusioni quindi, secondo i sostenitori di questa teoria, non potevano che essere nel senso della piena legittimità costituzionale del lodo.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Lodo Alfano: problemi di costituzionalità
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Informazioni tesi
Autore: | Lorenzo Barison |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Padova |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Scienze giuridiche |
Relatore: | Enrico Minnei |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 92 |
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