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Il Carmen Saeculare di Q. Orazio Flacco. Un'analisi dell'opera

L'amicizia di Augusto e Orazio dopo il Carme

Il Carme è uno spartiacque non solo per le opere oraziane, ma anche per il rapporto tra il poeta e il princeps, che di qui fino alla morte del poeta matura e si stratifica.
Odi IV sembra sia stata scritta, come ci ricorda Svetonio, dietro lo sprone dello stesso Augusto, cosa che testimonia già di per sé la familiarità col poeta.

Inoltre, Orazio appare qui più vicino al princeps che a Mecenate, cui destina solo l'undicesimo componimento. I componimenti in cui Orazio elogia il princeps in modo diretto non sono molti, ma ne tessé un'apologia degna dell'inaspettato quanto sincero estro da poesia civile impiegato dopo il Carme. In Odi IV, 4, 25-28, gli indomiti e invitti Vindelici Reti, sconfitti da Druso, comprendono che chi li ha battuti è superiore in civiltà: Sensere […] posset quid Augusti paternus/ in pueros animus Nerones.

In Odi IV, 14, 3, la vittoria di Tiberio sui Vindelici va a glorificare lo stesso imperatore, poiché sono di quest'ultimo l'esercito, le strategie militari e il favore degli dei che i Neroni usano in sua vece. In Odi IV, 2, da una parte Orazio saluta con gioia il rimpatrio di Augusto, vittorioso sui Sigambri (13 a.C.), dall'altra preferisce accompagnare, per l'occorrenza, la più alta poesia di Iullo Antonio, unendosi alle ben più umili esternazioni dell'allegria popolare.

Per il ritorno di Augusto dalle Gallie (13 a.C.), l'uso del vocativo enfatico dux bone, ai vv. 5 e 37 di Odi IV, 5, oltre a circoscrivere un crescendo elogiativo dell'ode, testimonia la funzione civicamente impegnata del poeta, rispetto alla recusatio di Odi IV, 2. Odi IV, 15, introdotta, analogamente al Carme, da Phoebus, sottolinea, di nuovo con la stessa nomenclatura mitologica usata nel Carme, la celebrazione di Augusto e la pace augustea ai vv. 31-32: Troiamque et Anchisen et almae/ progeniem Veneris canemus.

Epistole II, 2 è un elegante componimento per il giovane amico Floro, in cui la presenza di Augusto figura come uno dei burrascosi eventi che hanno condizionato la vita del poeta, ciò che forse può aver turbato il princeps: Dura sed emovere loco me tempora grato/ civilisque rudem belli tulit aestus in arma/ Caesaris Augusti non responsura lacertis.
In Epistole II, 1, emergono chiaramente tracce dell'amicizia tra il poeta e l'imperatore.

Lo stesso fatto che Augusto appaia ‹‹in three roles: reader, patron, and subject for panegyric››, come Mecenate prima di lui, mostra già il sottostrato complesso del rapporto con Orazio. Non solo i raffinati temi e argomenti dell'epistola, legati alla letteratura, rispecchiano gli interessi e lo status sociale di Augusto, situato così in un'area sociale ben definita, ma costituiscono anche il campo d'interesse di Orazio.

Quanto detto deve costituire prova del tatto verso l'imperatore, a cui nondimeno il poeta riserva con Epistole II, 1, 1-4 l'ironia pungente, ma pur sempre rispettosa, che il princeps tanto apprezzava: Cum tot sustineas et tanta negotia solus,/ res Italas armis tuteris, moribus ornes,/ legibus emendes, in publica commoda peccem/ si longo sermone morer tua tempora, Caesar.

Dopo aver suggerito quale fosse la lettura oraziana che indispose Augusto, Svetonio riporta l'impaziente richiesta della citata epistola che il princeps fece a Orazio, richiesta che portò alla sua composizione. In quest'occasione il princeps usò, non senza urbana ironia, parole piene di preoccupata confidenza da cui traspare il mutuo sentimento che li legava: Irasci me tibi scito, quod non in plerisque eius modi scriptis mecum potissimum loquaris; an vereris ne apud posteros infame tibi sit, quod videaris familiaris nobis esse?.

L'evasività di Orazio non solo dà conto della sua autonomia poetica, ma, alla luce del contenuto dell'epistola, va a costituire anche un tratto fondamentale di ciò che l'epistola è, una suasoria, e non ultimo dona la chiara visione delle libertà che il poeta poteva permettersi nei confronti dell'imperatore. Augusto auspicava la rinascita di un grande teatro pubblico, valido strumento per promuovere l'ideologia di regime.

Orazio, che riteneva il buon teatro incompatibile coi gusti del pubblico e il recupero per una vera e propria rinascita impossibile, piuttosto chiese garbatamente ad Augusto di focalizzare la sua attenzione sulla poesia lirica: Verum age et his, qui se lectori credere malunt/ quam spectatoris fastidia ferre superbi,/ curam redde brevem, si munus Apolline dignum/ vis complere libris et vatibus addere calcar,/ ut studio maiore petant Helicona virentem. Si palesa, così, una netta distanza di idee in merito alla letteratura, ma anche rispetto e delicatezza tra i due amici.

A Orazio non piacevano i vecchi scrittori e gli spettacoli contemporanei, diversamente da Augusto che faceva mettere in scena di tanto in tanto le vecchie commedie romane e amava esibizioni di ogni genere. Eppure, proprio questa divergenza, ancora una volta, evidenzia, per il poeta, la libertà di pensiero e la possibilità di gestire un rapporto schietto e sincero con l'imperatore.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il Carmen Saeculare di Q. Orazio Flacco. Un'analisi dell'opera

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Informazioni tesi

  Autore: Simone Enas
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2022-23
  Università: Università degli Studi di Cagliari
  Facoltà: Studi Umanistici
  Corso: Lettere
  Relatore: Antonio Piras
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 104

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