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Disturbi del comportamento alimentare: Obesità infantile - Rassegna di metodi e strategie d’intervento

L'ambiente obesogeno: fattori di rischio e protezione

L'obesità, in quanto patologia legata all'atto del nutrirsi, va letta come una manifestazione di un disagio psichico che ha trovato la via del corpo per esprimersi. In questo senso necessita un'interpretazione psicologica che aiuti a comprenderne le cause, dando dignità e parola alla sofferenza del soggetto (Pozzoli, 2011).
«L'obesità ha un'origine multifattoriale in cui si intrecciano fattori sociali, ereditari, psicologici e abitudini alimentari scorrette, variabili distinte ma al contempo interconnesse tra di loro, che richiedono un approccio multidisciplinare al processo diagnostico, valutativo e terapeutico» (Pace, 2015).
La predisposizione genetica ad accumulare grasso come riserva ha contribuito, associandosi oggi allo stile di vita sempre più sedentario, all'aumento del sovrappeso. Inoltre la società, i media, promuovono il consumo di cibi "spazzatura", ad alto contenuto di grasso, zucchero e sale, che si configurano come godimento illusorio prêt-à-porter sempre disponibile che tende a colmare, con conseguente spinta compulsiva al consumo (Pace, 2016).

Sebbene, infatti, ogni singolo individuo si scontri ancora con le richieste di una rinuncia pulsionale, necessaria per la garanzia di tutela e sicurezza che la civiltà offre, la società attuale sembra veicolare l'idea che tutto sia possibile, senza che si debba attendere ad un tempo futuro (Pozzoli, 2011). La società attuale si basa su un funzionamento di tipo narcisistico, che promuove il benessere del singolo e il suo godimento autistico: è possibile far fronte al dolore e alla frustrazione attraverso la soddisfazione immediata ottenuta con l'azione. E tuttavia il riempimento concreto non risolve se non temporaneamente lo stato psichico di disagio, e necessita dunque di essere costantemente ripetuto, innescando un circuito di dipendenza tossicomanica (Pozzoli, 2011). Ecco dunque che il rapporto con il cibo può rappresentare per i bambini e ragazzi una metafora della possibilità di relazione col mondo circostante (Pace, 2015). L'obesità si presenta fenomenologicamente come una patologia animata da un eccesso pulsionale divorante verso l'oggetto alimentare di cui il soggetto soffre perché non riesce a mettervi un limite (Cosenza, 2018). Tale disagio è incarnato dalla crisi dell'altro e dalla sua funzione simbolico-regolatrice, ed incarnato in primis dalla crisi della funzione paterna, il cui esercizio permetteva la trasmissione della legge all'interno del discorso familiare (Cosenza, 2018).

La psicoanalisi inquadra la dipendenza patologica come un tentativo di autocura che il soggetto sceglie per far fronte a qualcosa di insopportabile. «Questa autoterapia ruota attorno alla scelta di un oggetto, di una sostanza o di una situazione, che finisce con l'assumere per il soggetto la funzione di catalizzatore irresistibile del godimento» (Cosenza, 2018). L'autoterapia obesa, che ha al suo cuore un Super-Io sadico, è un'autoterapia mortifera, che il soggetto impone a sé stesso a partire da una spinta che lo muove e da cui non riesce a sottrarsi (Cosenza, 2018). L'epidemia anoressico-bulimica e obesa, in quanto sintomo sociale, impone di riconoscere l'estremizzazione patologica di un rapporto del soggetto col cibo che si rivela problematico e dannoso per il soggetto stesso (Cosenza, 2018).

Il rapporto dell'uomo con l'alimento è un rapporto per struttura "disturbato" dal rapporto del soggetto con l'Altro: ne sono testimonianza l'ossessione dietetica del soggetto contemporaneo, i tabù alimentari, legati ad una normatività sociale più o meno esplicita (Cosenza, 2018). In questo discorso aspetto fondamentale appare avere la famiglia: il sintomo alimentare mette in questione nel campo dell'Altro, la struttura della famiglia. La famiglia contemporanea appare più fragile rispetto a quella del passato a stampo paternalistico. La mancanza di punti di riferimento stabili espone i genitori ad un senso di inadeguatezza nella cura dei figli che può avere conseguenze imprevedibili sul bambino (Pozzoli, 2011). Appare impossibile per i genitori di oggi «frustrare i figli, allenarli ai no, a tollerare le difficoltà e le emozioni, allenarli a trasformare la mancanza in desiderio e a non otturarla subito attraverso un agire compulsivo […] a promuovere una cura dei figli che contempli l'idea di una frustrazione sostenibile, perché nessuno li aiuta nel duro compito di imporre dei limiti» (Pozzoli, 2011). Nella famiglia contemporanea il rapporto verticale tra genitori e figli viene a cadere, rendendo difficile affermare un principio di autorità, necessario affinchè vi sia la percezione di una guida e di regole da rispettare (Pozzoli, 2011).

In questa modalità familiare confusa è possibile che vi sia una inversione di ruoli, in cui il figlio si sostituisce al vertice e diviene il capo del governo familiare, alimentando una dimensione contrattuale con i genitori, che elude la possibilità di incorrere in una conflittualità che tuttavia è necessaria affinchè il bambino sperimenti tutta la sua aggressività (Pozzoli, 2011). Laddove, tuttavia, i genitori appaiono impegnati ad ottenere una posizione di consenso da parte del figlio, questo non può esprimere pienamente la propria aggressività, e non può verificare di trovarsi di fronte ad un genitore stabile che regge e tollera. Solo se il bambino verifica questa possibilità può credere di essere veramente amato e sviluppare quelle doti di riparazione e protezione verso la persona che ama, essendogli riconoscente per essere sopravvissuto e avergli mostrato che non ha paura dei suoi aspetti più distruttivi (Pozzoli, 2011).

«Se l'aggressività non fa paura, non è necessario esprimerla in modi così potenzialmente distruttivi, ma può, invece, essere utilizzata proficuamente e costruttivamente nella vita sotto forme più contenute» (Pozzoli, 2011). Tuttavia, quando il bambino non potrà sperimentare in famiglia la propria aggressività, la dirigerà verso contesti esterni, per ritrovare e sperare in situazioni e contesti che possano contenere la sua quota distruttiva (Pozzoli, 2011). Spesso i genitori mostrano enormi fragilità nel reggere l'aggressività naturale dei figli: se ne sentono minacciati e così prendono posizioni o eccessivamente intransigenti e dure oppure troppo morbide e lassiste, con un continuo rimpallarsi le colpe e le responsabilità all'interno della coppia (Pozzoli, 2011).

La società contemporanea elude e nega il valore della perdita, della mancanza. Viene vissuta come una ferita incomprensibile, perdendo il senso ed il valore di sacrificio che è collegato alla mancanza e al suo riempimento. Diviene il sintomo di una società individualistica che non ammette tutto ciò che impone dei limiti (Pozzoli, 2011). Tuttavia l'eliminazione del valore evolutivo del sacrificio implica l'impossibilità di progettare ed investire il futuro promuovendo una politica dell'immediato e spingendo a forme di riempimento compulsivo (Pozzoli, 2011). Lo slogan della contemporaneità diviene "tutto e subito" a discapito del valore dell'esperienza dell'attesa e della frustrazione. Quindi la spinta sostenuta dal discorso sociale contemporaneo incita al "godi", "consuma", "riempi", abbattendo la funzionalità del valore di limite. [...]

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Disturbi del comportamento alimentare: Obesità infantile - Rassegna di metodi e strategie d’intervento

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Informazioni tesi

  Autore: Chiara Vittorini
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2018-19
  Università: Università degli Studi di Pavia
  Facoltà: Psicologia
  Corso: Psicologia
  Relatore: Domenico Cosenza
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 75

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