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Il senso del limite. Analisi della poesia di Cesare Viviani da ''Silenzio dell'universo'' a ''Credere all'invisibile''

L' "accento civile" di Raboni

Giovanni Raboni è sicuramente uno dei maggiori modelli per Viviani, un poeta che ha saputo coniugare come pochi il livello interno psichico e quello esterno fisico-materiale; un poeta che proprio come Viviani ha eletto l’esperienza, più che la conoscenza, al centro del proprio percorso poetico. «Raboni, sin da giovanissimo, ha scelto: mitigare il passo solitario del poeta nello spazio dell’opera della comunità […]. Si potrebbe dire: Raboni è consapevole di quello che gli altri vivono inconsapevolmente»; esattamente il senso di Passanti esplicitato nei seguenti versi:

Il pensiero di sé, della sua storia,
con le fasi salienti, le date memorabili,
proteso ad aggiornare, a completare,
ogni poco il percorso dato come reale,
come evidente, sa già cosa fare per essere,
da tempo la scelta è fatta – ma il tempo
non è quello immaginato contemporaneo,
della generazione e del singolo, chiamato nostro,
è invece uno schermo vuoto, trasparente,
dove i cambiamenti non lasciano segni, tracce,
e non ci sono connessioni, passaggi di condizione,
continuità conformi ai progetti, alle intenzioni,
nessuno attore o padre di attività, di azioni,
ma una sorta di formicolanti compare,
unica immagine, nelle zone abitate. [p. 79]


La distruzione di ogni pretesa di protagonismo, di qualsiasi pensiero che veda l’uomo al centro del grande progetto della vita; l’unica immagine possibile, sconsolatamente drammatica resta il formicolio delle “zone abitate”, dell’alienante caos moderno. Allo stesso modo «l’accento “civile” della poesia di Raboni è la capacità di vedere per strada, in un gruppo di passanti o manifestanti, in una sequenza di atti quotidiani, un polittico, una pala d’altare […], e la gloria, la stessa gloria, la stessa maestà espresse nell’oro del fondo e nei muri grigi della città». La poesia di Raboni, esattamente come quella di Viviani, è fatta di “nudità”, «spoliazione, spossessamento, condizione dell’abbandono di ogni avere, immagine essenziale», una lirica “povera” dove «la parola è semplice e libera nelle sue movenze, né presuppone ordini formali a priori, ma solo nel suo procedere inventa il proprio ritmo […]. Non è affidata ad altro che alla pausa momentanea o del respiro o del pensiero».
Così ecco la descrizione urbana di Raboni:

Non proprio qui, qui vicino c’era il gioco delle bocce. Se arrivavi
cinque minuti prima
c’erano delle cose che ricordi,
il gesso azzurro per segnare (qualcuno
ci spiaccica una foglia),
il vassoio di ferro sulla sponda.
S’instaura
la procedura normale: ricorsi, strattoni,
ti salta la polvere negli occhi e amen.


I ricordi di un tempo che fu e poi l’inevitabile “procedura normale” il cui effetto tanto somiglia alle mancate “connessioni” di Viviani: la “polvere negli occhi”, come qualsiasi altro cambiamento, non lascia tracce, non lascia segni da seguire, solo un nuovo-vecchio limite da accettare, “e amen”. In uno dei sonetti di Ogni terzo pensiero, molto apprezzati da Viviani – secondo cui «il sonetto nel più recente Raboni è vera compiuta trasformazione» – assistiamo a una vera e propria compenetrazione tra le due poetiche, tanto che potrebbe essere ascritto tranquillamente al poeta senese:

Senza desideri, senza speranze
che si potesse vivere, una volta
non riuscivo a crederci. Adesso, molta
vita dopo, mi domando se anzi
non sia così, dai già funebri avanzi
di quelli e di quelle una buona volta
come da una placenta o un guscio sciolta,
che la mente (l’anima) un po’ più avanza
nella gioia…e pensandosi sostanza
che pensa e nomina sé e ogni cosa
senza rimpianti assapora la storia
d’ogni istante, d’ogni salmo la gloria,
polvere prodigiosa che si posa
sulle fioche reliquie della danza.


Uno scrivere-pensare decisamente rimuginativo, poesia-pensiero appunto, scarna e allo stesso tempo senza scampo per il lettore, dove tornano in primo piano il sentirsi “sostanza” onnipotente ma soprattutto quella polvere, ora sarcasticamente “prodigiosa”, che, in versione di sinestesia, copre le deboli (fioche) rimanenze – ovvero il silenzio dell’universo – del movimento umano (danza), dei passanti. Si tratta indubbiamente di una poesia che celebra l’esperienza della morte ma «attraverso la morte della propria esperienza», quello che Viviani chiama “dono di sé”, «il fondamento di una sensibilità, di un’essenza: eliminato l’ingombro dell’io, si forma una continuità esatta, senza interferenze, tra le vicende del mondo, la percezione e la scrittura […].

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il senso del limite. Analisi della poesia di Cesare Viviani da ''Silenzio dell'universo'' a ''Credere all'invisibile''

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Informazioni tesi

  Autore: Federico Romagnoli
  Tipo: Tesi di Dottorato
Dottorato in Storia della Lingua, Filologia, Letteratuta Italiana
Anno: 2013
Docente/Relatore: Lucinda Spera
Istituito da: Università degli Studi di Siena
Dipartimento: Italianistica
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 153

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